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I 15 giorni dell’Ilva, il Governo cerca di guadagnare tempo poi dovrà decidere

Paolo Zucca

Adesso tocca al ministero per l’Ambiente che ha promesso un parere per la fine della prima settimana di settembre. Sarà il terzo pronunciamento preliminare alla decisione del Governo sulla sorte dell’Ilva, L’Esecutivo dovrà confermare o meno la validità della gara per l’assegnazione del gruppo dell’acciaio ora in amministrazione straordinaria.

Nella ripartizione per aree di intervento, in gran parte concordata nel Programma di Governo, la politica industriale tocca prevalentemente ai 5Stelle. In prima persona al vicepremier, Luigi Di Maio, che ne risponde al suo movimento, ai suoi elettori sotto gli occhi di tutti gli italiani.

Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico sa bene che un insuccesso del contenzioso con gli acquirenti (e il gruppo franco-indiano ArcelorMittal lo è fino a oggi anche se la gara potrebbe essere annullata) peserebbe su Taranto, sull’occupazione italiana (i dipendenti diretti sono 14mila, con l’indotto si arriva a 20mila) e sul Pil (Prodotto interno lordo) visto che il valore diretto e indiretto è pari al 2% circa.

Più in generale sul ruolo italiano nella competizione fra grandi produttori. I 5Stelle hanno ottenuto nelle politiche a Taranto un notevole 47% che mette insieme più posizioni: gli ambientalisti puri e la città, non solo nel quartiere Tamburi, porta drammatiche tracce dell’effetto inquinante; gli assertori della riconversione graduale; gli insoddisfatti delle politiche nazionali per il Sud.

La Lega, che rivendica un maggior rapporto con le imprese, tace.

“Impensabile che possa chiudere”, ha solo commentato l’altro vicepremier Matteo Salvini. Il megafono è a Di Maio. Finora il vicepremier si è concentrato sulla denuncia politica di una gara a suo giudizio viziata dall’inizio. L’obiettivo è sempre più il Governo Renzi e il suo predecessore ultimo, Carlo Calenda. Dai potenziali acquirenti attende invece proposte migliorative, ambiente e occupazione per aumentare le garanzie ai 3.800 lavoratori maggiormente a rischio. Nei prossimi 15 giorni, se i tempi non verranno prorogati, si deciderà la sorte di un pezzo di industria italiana e se il Governo ne prenderà la gestione (con la solita Cassa depositi e prestiti/Cdp e un partner di settore), se verrà rifatta una gara dopo quella ritenuta da Di Maio “illegittima, un vero delitto perfetto”, se si arriverà a un nuovo accordo con ArcelorMittal migliorativo in più punti.

Settembre è coperto dall’ultima disponibilità di cassa, circa 24 milioni. Poi serviranno altri mezzi, visto che il gruppo perde un milione al giorno. E non sarebbe facile chiederli in presenza di un compratore internazionale bloccato sulla linea del traguardo. Altri gruppi come Arvedi e gli altri indiani di Jindal sembrano attenti a non farsi coinvolgere. La Ue vigila per evitare gli aiuti di Stato e non mancherebbero le sanzioni.

È una partita molto complicata, in un settembre già delicato per la necessità di far quadrare i conti nel Documento di economia e finanza (Def). L’economia migliora ma meno del previsto.

Servirebbero decisioni rapide, in un senso o nell’altro, del Governo. Su Ilva il vicepremier ha invece fermato gli orologi, preferendo tornare indietro nella verifica della gara: prima con una richiesta all’Anac, l’authority per l’anticorruzione, poi con la richiesta di un parere all’Avvocatura di Stato. Nel primo caso sono emerse criticità perché la gara non prevedeva rilanci, nel secondo caso è stato chiesto di verificare possibili irregolarità per capire se ci sono margini per annullarla. In questo caso il pronunciamento dell’Avvocatura non è stato reso noto ma solo sintetizzato dallo stesso Di Maio. Che ora ha chiesto l’approfondimento al ministero dell’Ambiente. Altri giorni di attesa.

Il dossier Ilva brucia. Rischia di accontentare alcuni e scontentare altri. I lavoratori, i sindacati (che hanno richiesto un incontro urgente con il Governo), le imprese e il mondo economico locale temono lo spegnimento graduale degli altiforni. Quando si è promesso molto in campagna elettorale ogni normale compromesso può sembrare, agli occhi dei sostenitori, una resa. Ne deriva una continua pressione al rialzo nella trattativa che può portare al successo di qualche significativa miglioria. O finire con una sconfitta allontanando l’acquirente privato e aggiungendo perdite a carico delle casse pubbliche.

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