Nicola Salvagnin
Era dagli anni Settanta che non si sentiva il grido: “Nazionalizzazioni!”, quando cioè lo Stato si accollò ogni fabbrica che andava male, dai panettoni all’Alfa Romeo. Oggi lo invoca a gran forza una delle due forze politiche al governo, per le autostrade (e porti, aeroporti, trasporto pubblico…) o per l’Alitalia, magari con un pensierino giù fino all’Ilva di Taranto.
Lo Stato imprenditore non fu un granché. Nemmeno oggi è un granché: se l’Anas è l’esempio di come sarebbero gestite le autostrade italiane una volta messe in mano allo Stato, stiamo tutti freschi. Altra cosa è discutere di come abbia venduto (a volte male, a cominciare da Telecom), o di quanto si faccia pagare dai privati l’utilizzo dei propri beni. E qui torniamo alla capacità degli enti pubblici di ricavare qualcosa che non sia un misero obolo da spiagge, acque minerali, risorse idroelettriche, canoni demaniali… Uno Stato debole e incapace – e così Regioni, Comuni, Ulss – si fa rapinare senza opporre resistenza, magari con la compiacenza interessata dei suoi funzionari.
E così si torna alle vicende odierne. Frutto soprattutto di una mentalità rimasta ferma appunto a quegli anni Settanta in cui si fortificò il concetto dello Stato-totem che tutto doveva fare: istruzione, salute, sicurezza, infrastrutture, lavoro, abitazioni, banche… Il disastroso debito pubblico che ci trasciniamo da anni è frutto di quella mentalità statalista che mirava alle grandi socialdemocrazie europee e finiva per eguagliare le inefficienze sovietiche.
In questi anni abbiamo sperimentato con successo forme alternative di gestione dell’istruzione, della cura delle persone, della salute, delle infrastrutture pubbliche. L’imprenditoria privata ha portato l’Italia a essere tra le prime potenze economiche del mondo, e pure le aziende partecipate dallo Stato (Eni, Enel, Terna…) si muovono in un’ottica di mercato. La foresta pietrificata delle banche è stata disboscata, e ha prodotto frutti avvelenati solo laddove le governance erano rimaste volutamente opache.
Tornare indietro? Rifarsi al modello francese, dove lo Stato è forte ovunque, anche in economia?
A totem non si oppone totem. Se serve, anche l’iper-capitalista America è intervenuta con denari pubblici per salvare banche e mutui. Poi ha chiesto i soldi di ritorno, magari con qualche piccolo guadagno. Lo ha fatto anche l’Italia, con il Montepaschi di Siena. Ora: chi lo deve governare? Un gruppo di banchieri competenti o un incompetente politico locale o nazionale, come prima?