“Animare la città. Le Acli nelle periferie del lavoro e della convivenza” è il tema del 51° Incontro nazionale di studi che le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani promuovono, dal 13 al 15 settembre, a Trieste. Economia, lavoro, formazione, previdenza, fisco, migranti, Europa i temi “caldi”, soprattutto alla luce delle “fratture” che rischiano di incrinare il Paese, in particolare – ma non solo – quella intergenerazionale, quella nord/sud, quella che caratterizza la politica e sarà tema di una tavola rotonda a margine della quale interverrà il premier Giuseppe Conte. Nel corso dei lavori verrà presentato uno studio inedito a cura dell’Iref dal titolo “Le Cinque Italie al voto”, disamina che parte dalla suddivisione dell’Italia in 5 macro-regioni e ne analizza gli ultimi flussi elettorali. Sullo sfondo i 100 anni dalla prima guerra mondiale e dalla nascita di Livio Labor (presidente Acli dal 1961 al 1969), i 50 anni dal Sessantotto e i 40 dalla riforma Basaglia, nata proprio a Trieste. Per l’occasione le Acli presenteranno al capo del Governo alcune proposte legislative in materia di formazione, previdenza, fisco. Facciamo il punto con il presidente nazionale Roberto Rossini.
Presidente, “animare la città”. Che significa?
Animare la città vuol dire andare alla radice di una comunità, alla sua anima, per
tessere e ricucire da capo quelle relazioni fondamentali che stanno sparendo o, peggio ancora, si stanno trasformando in fratture sempre più profonde.
Penso ai giovani e al rapporto con la generazione che li ha preceduti, ai loro occhi egoista, che ha beneficiato del boom dei decenni precedenti senza porre le basi per i cittadini del futuro. I giovani sono una generazione disincantata, precaria, senza sogni che noi ci impegniamo a risollevare in maniera concreta. Per questo, durante il nostro incontro, presenteremo alcune proposte di legge puntando a rimettere al centro della discussione sui temi del lavoro anche la formazione professionale continua. Bisogna creare occupazione con un serio piano economico che preveda investimenti industriali, soprattutto nel meridione. E poi abbiamo preso in parola Papa Francesco quando ha chiesto a tutti gli uomini di buona volontà di andare nelle periferie, cittadine ed esistenziali. Noi ci siamo, ci proponiamo come luogo significativo di animazione e di esperienza sociale per difendere i fili delle comunità più fragili – il nostro pensiero va in questo momento alla città di Genova – e contrastare le grandi solitudini del nostro secolo.
La ricerca Iref parla di “cinque Italie”. Il nostro Paese è inoltre segnato da forti contrapposizioni mentre sembrano prevalere interessi corporativi e avanza inesorabilmente la povertà. In mancanza di politiche lungimiranti non si rischia una guerra tra poveri?
La guerra tra poveri è già in atto, la crisi economica ha estremizzato i dualismi. C’è anzitutto la generazione di cui si diceva prima, che ha goduto di tanti benefici e che dopo un lavoro di serie A e un welfare di serie A si ritrova anche una pensione di serie A. Poi c’è la generazione dei precari e dei fuori-sistema, con un lavoro e un welfare di serie B e, molto probabilmente, una pensione di serie B. A questa frattura generazionale si salda quella mai superata tra nord e sud. La ricerca Iref traccia anche l’identikit di alcuni territori virtuosi – Lombardia, Emilia Romagna, Veneto – in cui è forte l’impatto imprenditoriale ma anche l’associazionismo, dove la risposta alla crisi non è stata di chiusura ma di apertura. Ecco perché in queste regioni lo Stato è forte, il welfare adeguato, l’immigrazione è maggiore perché meglio integrata, e costituisce una risorsa. Esempi virtuosi che ci suggeriscono che le grandi sfide del nostro tempo sono spesso globali, ma vanno declinate localmente studiando e leggendo bene il presente per trovare soluzioni adeguate senza facili semplificazioni. È davvero necessario ricominciare dai territori, anche per formare politici seri e competenti che vadano in Parlamento con una rappresentatività reale.
Occorre rimettere “l’uomo” al centro di un progetto politico che è anzitutto un progetto civico.
Quali proposte presenterete a Trieste?
Cogliendo anche l’occasione della presenza del capo del Governo, faremo proposte legislative concrete su quelli che sono i nostri ambiti: formazione, lavoro, previdenza e fisco. Nel campo della formazione/lavoro ci siamo concentrati su proposte che rafforzano i percorsi di formazione. Nel concreto ci piacerebbe una riforma ancora più completa dei Centri per l’impiego che, se connessi adeguatamente con i Centri territoriali per la formazione accreditati, possono rappresentare un antidoto serio alla disoccupazione. Sul piano della previdenza, oltre all’idea di riformare la flessibilità d’accesso alla pensione pensiamo all’introduzione di una pensione di inclusione che garantisca un minimo vitale come è stato fatto per il Reddito d’inclusione. Infine sul tema della fiscalità avanzeremo proposte per rendere più equo il sistema di tassazione, attuando quei criteri di progressività sanciti dalla nostra Costituzione all’art. 53.
Il cardinale presidente della Cei Gualtiero Bassetti ha più volte ribadito l’importanza di ricucire il tessuto sociale sfilacciato ma anche di “ripensare” e “rifare” il Paese. Quale può essere il contributo delle Acli?
Partiamo dalle città – che Giorgio La Pira definiva “misteriose abitazioni di uomini e donne e più ancora, in un certo modo, misteriose abitazioni di Dio” – per ripensare il Paese. Non possiamo più limitarci a gestire le cose perché abbiamo un’altra missione, quella di creare connessioni intercettando i moti delle persone lasciate spesso nella solitudine.
Siamo chiamati a creare intelligenza sociale, che si contrappone all’implacabile logica degli algoritmi dell’intelligenza artificiale, sempre con la consapevolezza di essere Chiesa viva, in cammino e alla ricerca di un orizzonte di senso più ampio.