Domanda del lettore: “Qual è il modo più corretto di ricevere l’Eucaristia? In bocca o in mano? Perchè qualcuno mi ha detto che è meglio riceverla in mano.”
Teologo Nicola Rosetti: “La prima e più importante cosa davanti all’Eucaristia è quella di essere in grazia di Dio per poter ricevere Gesù. Esistono poi due forme che la Chiesa riconosce come valide: ricevere l’Eucaristia in bocca e ricevere l’Eucaristia sulle mani. Quest’ultimo è oggi il modo più diffuso ed è sicuramente il più pratico [oltre ad essere sicuramente quello più vicino a quanto compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena e che quindi rimanda all’aspetto conviviale di questo sacramento (aggiunto il 20/9/2019)]. Tale pratica fu permessa con una delibera della Conferenza Episcopale Italiana a partire dal 1989.
Ricevere invece la comunione in bocca è sempre meno frequente, però è la pratica più ricca di simbologie e significati che attraverso il linguaggio dei segni ci fanno intendere cosa sia realmente l’Eucaristia.
Nelle tavole delle nostre case è normale prendere il pane con le mani, ricevendo il pane eucaristico in bocca accentuiamo il carattere speciale di questo alimento che attraverso la consacrazione è diventato Corpo di Cristo, dunque un pane sottratto all’uso quotidiano e divenuto strumento di comunione fra Dio e l’uomo.
In secondo luogo, con l’imboccare i fedeli si esprime a livello simbolico la maternità della Chiesa che nutre i propri figli con il cibo di salvezza.
Infine, i Padri della Chiesa sottolineano che come il peccato e la morte sono entrati nel mondo mangiando il frutto proibito, così attraverso l’Eucaristia è donata la salvezza. Dunque il sacerdote, imboccando il fedele, si mostra come medico dell’anima che somministra ai malati nello spirito il farmaco di immortalità.
Fino a qualche decennio fa una balaustra divideva il presbiterio dal resto della Chiesa e su di essa i fedeli ricevevano la comunione in ginocchio: era questo un ulteriore segno di riconoscimento della divina presenza nel pane consacrato.
Da un punto di vista ecumenico, cioè del dialogo con le altre chiese cristiane, la prassi cattolica si è avvicinata a quella delle comunità protestanti, alcune delle quali però non riconoscono la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia e, allo stesso tempo, si è allontanata da quella delle Chiese ortodosse. In queste ultime si conserva una prassi eucaristica simile a quella che nel passato vigeva nella Chiesa Cattolica: solo il sacerdote può toccare con le mani il Corpo di Cristo (una prassi sostenuta anche da San Tommaso d’Aquino in Summa Theologiae, p. III, q. 82, a. 3) e la comunione può essere ricevuta solo in bocca (anche perché il fedele riceve insieme il pane e il vino consacrati)”.
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Prendere l’eucarestia in mano è per me rivivere il momento in cui Gesù prese il pane(...) lo spezzo’ e lo diede ai discepoli ...
Non penso che li abbia imboccati ma ognuno avrà preso il suo pezzetto con le mani e lo avrà mangiato...Forse questa mia interpretazione non sarà teologica !!! Poi penso che sia semplicemente anche per un fatto igienico (le dita del sacerdote in bocca al fedele
Bisogna fare attenzione: quando partecipiamo all’Eucaristia, anche se ripetiamo i gesti dell’Ultima Cena, stiamo riproponendo in forma sacramentale la morte e la resurrezione di Cristo. Gesù ha istituito l’Eucaristia a ridosso della sua morte in croce e l’ha intimamente unita ad essa: “Questo è il mio corpo, offerto in SACRIFICIO per voi”. L’Eucaristia cattolica non è solo un pasto fraterno (come per i protestanti), ma è memoriale del sacrificio di Cristo.
Cara Teresa, non è teologica neppure l'interpretazione dell'essere imboccati. Secondo me, una pessima interpretazione.
Se con questo articolo si voleva chiarire un dubbio e divulgare un pensiero teologico sul sacramento dell’eucaristia, ho l’impressione che si è favorita solo confusione perché, a mio avviso, l’impostazione teologica dell’articolo è radicalmente erronea poiché incompleta.
Chiunque abbia una minima conoscenza teologica sa benissimo che il sacramento dell’Eucaristia si caratterizza con due elementi differenti, ma profondamente integrati: l’Eucaristia è sacrificio , ma contemporaneamente anche convito, banchetto.
È la possibilità di partecipare al mistero pasquale di Cristo, tutto intero (passione morte e risurrezione) come se fossimo presenti ai piedi della croce – qui la dimensione del sacrificio – ma anche come se fossimo al sepolcro il mattino di Pasqua e incontrassimo il Risorto. Dai pasti con il Risorto prende origine l’esperienza ecclesiale del banchetto con il Cristo risorto,
quindi momento di festa della comunità, fondamento della celebrazione della Domenica, momento di incontro di persone che mangiano insieme; non semplicemente fra di loro, ma insieme con il Cristo risorto. È un gruppo di persone, una comunità, la Chiesa, il Corpo di Cristo, che mangia con il Cristo risorto.
I due elementi sono strettamente uniti, chiunque si rifiuta di favorire interpretazioni ideologiche non può non sostenere che entrambe le caratteristiche sono buone, ma diventano cattive se assolutizzate. L’elemento negativo è quello della parte assolutizzata: la parte che diventa un assoluto è
eresia.
Mi dispiace notare come l’evidente metafora (“si mostra come”), del sacerdote medico nell’atto di imboccare, sia stata fraintesa come una (per giunta “pessima”) interpretazione. La risposta contenuta nell’articolo è corretta. La comunione la si può ricevere nei due modi menzionati. Così si legge nel decreto n. 56 del 1989 della Cei.
Ma è più facile criticare senza cogliere il buono delle cose, secondo l’insegnamento di San Paolo (“vagliate tutto e trattenete ciò che vale”, anzi “ciò che è buono”). Mi colpisce invece la sottolineatura della maternità della Chiesa nella pratica eucaristica. Con questa interpretazione il teologo Rosetti pare riportare alla luce quanto affermato, oltre un trentennio fa, nel documento “Eucaristia, comunione e comunità” (pag. 102), approvato dalla XXI Assemblea Generale della C.E.I.
(11-15 aprile 1983):
“I sacramenti sono sempre manifestazione della Pasqua di Cristo e insieme della maternità della Chiesa. È questa una immagine cara ai Padri, che pone in evidenza l'unitarietà profonda del cammino sacramentale, in cui la Chiesa prima genera i suoi figli alla fede e alla vita nuova, poi ne sostiene la crescita fino alla piena maturità espressa dall'Eucaristia e dalla conseguente “vita eucaristica” nella comunità e nel mondo”.