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Enzo Bianchi: “è il tempo del discernimento comunitario”

Alberto Baviera

“L’esigenza del discernimento si fa sempre più urgente. E se la Chiesa nel suo passato ha soprattutto meditato ed esperito il discernimento personale oggi è venuto il tempo soprattutto di ricercare ed esperire il discernimento comunitario, ecclesiale e, di conseguenza, sinodale”. Ne è convinto Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, evidenziando come oggi “quest’operazione difficile e faticosa deve soprattutto estendersi anche alla vita ecclesiale, alle relazioni tra le Chiese e al tempo in cui viviamo”.

Fratel Enzo Bianchi, da dove nasce questa urgenza? E chi dovrebbe farsene carico prioritariamente?
C’è urgenza del discernimento, come sempre c’è stata in tutta la vicenda della Chiesa in questi duemila anni. Ma

oggi c’è una novità. Ed è l’urgenza del discernimento comunitario.

Noi per duemila anni abbiamo sopratutto cercato, parlato e meditato sul discernimento individuale, da Origene ai padri del deserto fino ad Ignazio da Loyola. Ma abbiamo tralasciato il discernimento comunitario ecclesiale. Oggi si impone e Papa Francesco certamente insiste sul discernimento ma parla del discernimento ecclesiale, di tutta la Chiesa. Perché

se la Chiesa deve fare un cammino sinodale, il discernimento è la condizione “sine qua non” per poter fare un cammino insieme. Altrimenti non ci sarebbe né convergenza né possibilità di arrivare poi a delle scelte ecclesiali.

Un discernimento che è urgente si estenda alla vita ecclesiale, alla relazioni tra Chiese…
Che sia urgente lo vediamo nella Chiesa cattolica perché, nella misura in cui si vuole che il Popolo di Dio diventi davvero una comunità di soggetti ecclesiali che abbiamo una piena soggettività di fede e di evangelizzazione, si impone questo discernimento. Ma lo si vede anche nei rapporti tra le Chiese. E

anche, in questi giorni, la difficoltà che sta sorgendo tra Patriarcato di Costantinopoli e Chiesa russa riguardo le Chiesa in Ucraina richiede un’operazione di discernimento, ciò che non solo è secondo la volontà di Dio ma ciò che è secondo il bene comune.

Ciò che è il bene della mia Chiesa ma anche quello dell’altra Chiesa. Si tratta di un cammino, per certi versi nuovo, ma che va assolutamente percorso. E con urgenza. Ne va di mezzo la presenza del cristianesimo e della Chiesa nel futuro dell’umanità e del mondo.

È da questa urgenza che, per esempio, nasce la scelta di Papa Francesco di indicare “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”come tema della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi?
Dovremmo non pensare che tutto converge sui giovani e sulla vocazione. Perché allora si tradirebbe l’intenzione di Papa Francesco. Tutta la Chiesa va in discernimento. E tra i problemi che si pongono ci sono certamente la presenza dei giovani nella Chiesa – e che oggi sono la parte mancante – e i loro cammini delle differenti vocazioni che devono fare. Però il primo punto è il discernimento. Bisogna stare attenti, perché si mette molta enfasi sulla vocazione e sui giovani e

si considera il discernimento come se fosse solo strumentale verso la scelta vocazionale. Il discernimento è un’operazione molto più ampia: sia che sia ecclesiale che personale, non sempre è in vista della vocazione ma è in vista del bene comune, in vista di ciò che Dio ci chiede, in vista dei segni dei tempi da decifrare, delle urgenze dei luoghi da assumere.

È un discernimento molto più complesso quello cui ci chiede il Papa di riflettere e celebrare nel Sinodo.

Rispetto al discernimento, una figura chiave è quella del padre spirituale che sembra attraversare oggi un periodo di crisi. Come superare questa situazione? Il problema è che i credenti sottovalutano l’importanza del discernimento o che questo è un esercizio a cui non sono più allenati?
Credo che i fedeli non sono più abituati a fare discernimento. E poi, purtroppo, abbiamo avuto ahimè i direttori di coscienza che hanno lasciato dietro di sé un cattivo ricordo. Allora, oggi, riprendere la figura del padre spirituale – o meglio ancora, dell’accompagnatore spirituale – è diventata un’operazione difficile. Si ha paura di qualcuno che venga a spiare la nostra vita, che venga a costringere la nostra libertà. E, certamente, c’è una tentazione in molti padri spirituali di dire a chi si rivolge loro “a te a cui lo Spirito Santo dice nulla, io ti dico…” come se lo Spirito Santo parlasse solo a loro. Queste sono patologie di questo ministero, bisogna riflettere. Ma bisogna riprenderlo perché è un grande ministero di visionarietà:

si tratta di suscitare domande, stimoli, ispirazioni. Non costringere, non imporre, non chiedere niente contro la propria libertà e contro la propria coscienza.

Singoli e comunità sembrano sempre meno interessanti ad una lettura della storia personale e collettiva. Perché ciò è avvenuto e come aiutarli a ritrovare il gusto di leggere i segni dei tempi?
Si tratta di aiutarli a capire l’importanza della comunione e della solidarietà con gli uomini e la storia.

Il problema è che oggi c’è un individualismo anche molto narcisista e tutto questo impedisce qualcosa che si deve fare insieme

che è, certamente, anche il discernimento, lo sperare insieme, il preparare un futuro per il mondo e per la Chiesa insieme.

Come invertire la rotta?
È un processo di lunga educazione, ma

bisogna avere il coraggio di dire no al narcisismo imperante e fare uscire le persone da se stesse in vista di un cammino di comunione e non egocentrico e semplicemente per il benessere di se stessi.

Sono molto preoccupato anche della spiritualità cattolica dominante, che mi sembra un teismo vago, cattolico, antropologico e moraleggiante teso al benessere di sé. Questo non è più cristianesimo!

Nel cristianesimo al centro c’è Cristo, non il benessere di sé.

Perché altrimenti gli uomini della Scrittura come Geremia sarebbero fuori da ogni possibilità di comunione con Dio e di essere veri uomini di Dio. Ma, oggi, la spiritualità di molti padri spirituali va in quel senso e non è più cristiana. Non ha più Cristo al centro, ma soprattutto il proprio benessere. Domina un narcisismo moralistico.

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