La storia la conosciamo. Racconta di due discepoli in cammino verso Emmaus; sono delusi, tristi, ma dialogano, ripensando agli eventi di cui sono stati testimoni: cattura, condanna e crocifissione di Gesù. In questo loro camminare incrociano un altro viandante che si accosta loro e pone delle domande, fino a offrirgli ospitalità e a riconoscere in lui il Risorto nel gesto dello “spezzare il pane”. Da lì si rimettono in moto fino a Gerusalemme per annunciare l’accaduto.
Quei due discepoli, da sempre sconosciuti, oggi hanno anche un volto: sono le migliaia di giovani che nei primi giorni di agosto hanno percorso tutti i nostri territori sui sentieri della storia e della testimonianza del Vangelo fino a raggiungere Roma per incontrare Papa Francesco (#PerMilleStrade – #SiamoQui).
Sono sempre i giovani che saranno protagonisti del Sinodo dei vescovi in programma ad ottobre (#Synod18). E ancora: sono i giovani che nel gennaio 2019 convergeranno a Panamá per la XXXIV Gmg (#Gmg19).
Mi torna con forza alla mente la scena evangelica di Emmaus, mentre cerco di trovare il filo che unisce questi tre grandi appuntamenti. E, forse, sta proprio in quel “camminare insieme”, immagine fondamentale di ogni percorso di crescita, significato impegnativo della parola Sinodo, ma anche cifra sintetica della vita di ognuno di noi. D’altronde, cosa hanno fatto i giovani dell’iniziativa, promossa dalla Conferenza episcopale italiana, con il nome evocativo “Per Mille Strade”? E cosa faranno i vescovi e i laici alla XV assemblea generale ordinaria del Sinodo in Vaticano? Cosa accadrà a Panamá nel 2019?
La risposta è unica: un cammino insieme. Non in solitaria, ma condiviso.
E, come i due itineranti verso Emmaus, in dialogo sulla propria fede, soprattutto sui grandi dubbi che questa suscita ogni giorno. Accanto ai giovani, ai vescovi, a tutti i partecipanti, c’è ancora e sempre Gesù. La fede interroga, ma da duemila anni il nostro compagno di marcia continua a darci risposte di speranza.
La strada, si sa, mette a nudo, ci si confronta con le proprie fragilità e fa sparire ogni certezza. Ma ridona i cinque sensi: vista, udito, gusto, odorato e tatto. “I sensi – ha affermato Papa Francesco nel suo discorso alla Curia romana il 21 dicembre 2017 – ci aiutano a cogliere il reale e ugualmente a collocarci nel reale”. Ed ecco, allora, che
dalle mille strade, percorse e da percorrere, arriva una grande lezione sulle attività sensoriali, in un mondo sempre più ipertrofico e atrofizzante.
La vista per scorgere tutte le periferie geografiche ed esistenziali – e sono tante – che ci circondano; l’udito per instaurare relazioni vere, che nascono dall’ascolto profondo di chi ci sta accanto; il gusto per assaporare la dolcezza della gioia depositata nel nostro cuore dal viandante che, ancora, continua a incrociare la nostra stessa via; l’odorato per entrare nel profondo delle relazioni, nella parte più intima del nostro essere; il tatto perché ogni volto incontrato e amato richiama una mano e ogni mano si tende verso il volto amato.
Ne sono convinto: oggi come ieri lo riconosceremo nello “spezzare il pane”. È il gesto che crea comunità e convivialità. Ed è quel gesto in cui si esercitano tutti e cinque i sensi per essere una Chiesa giovane. Sì, la nostra madre Chiesa, nonostante le rughe e le ferite, sarà sempre giovane, se noi saremo in grado di camminare insieme.