DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.
Lo abbiamo ascoltato domenica scorsa e torniamo ad ascoltarlo anche oggi Gesù, mentre «insegnava ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”».
Ma i discepoli non riescono ad entrare nella prospettiva di Gesù, il quale, essendo stato riconosciuto proprio da loro come Cristo, adesso afferma di avere di fronte a sé un futuro che passa anche attraverso la morte. Avendo deciso di seguire il Messia, il Liberatore, il Trionfatore, non sono in grado di capire come egli possa andare a morire.
Non capiscono ma, addirittura, lungo la strada, «avevano discusso tra loro chi fosse il più grande». Ognuno di loro è stato tentato di aspirare e di pensarsi al primo posto nella comunità. Hanno rivaleggiato gli uni con gli altri, avanzando pretese di riconoscimento e di onore. Desiderio di successo, dunque, non di certo l’eventualità di andare incontro alla morte.
Gesù, di fronte a questa realtà, non rimprovera i discepoli, non li allontana, non si scoraggia davanti a tante incomprensione. Li mette, invece, sotto il giudizio di quel limpidissimo e stravolgente pensiero: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
Ancora una volta il Signore ci invita a ricentrare completamente la logica della nostra vita, della nostra storia.
Come farlo? «E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro» e lo abbraccia.
Dio è abbraccio, Dio è accoglienza, è tenerezza; è, per usare le parole di San Giacomo, quella sapienza che viene dall’alto «pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera».
Non stiamo parlando del progetto di vita di un fallito, di un sottomesso, di un prostrato nella umiliazione, di un uomo annientato in se stesso, di un perdente ma di un Dio che sa bene che il mondo non è portato avanti dalla potenza, dalla ricchezza, dalla forza, dalla prepotenza, dalla sapienza secondo la logica umana (e i nostri giorni ne sono un chiaro esempio!).
Infatti, porre in mezzo e abbracciare un bambino, un piccolo, un povero, un indifeso, significa estendere il nostro sguardo e la nostra capacità di accoglienza a chi è come lui: senza importanza, marginale, non considerato, colui che è particolarmente fragile e ha bisogno del sostegno altrui, colui che si attende diventi grande per dargli attenzione. E’ insegnare ai discepoli e a ciascuno di noi a porci, nei confronti di questi, non in un atteggiamento di superiorità ma come colui che serve, come colui che, da ultimo degli ultimi si fa servitore di tutti. E’ lo stesso atteggiamento di Gesù che si consegna e muore sulla croce per la necessità di amare fino alla fine, anche i nemici!
Questo è il posto che Gesù sceglie, questo è il posto di tutti coloro che desiderano mettersi alla sua sequela, questa è la strada per la quale siamo chiamati ad «entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo».