Un aumento “sistematico e continuo” delle violenze contro i popoli indigeni del Brasile. È questo lo scenario descritto dal Rapporto sulla violenza contro i popoli indigeni del Brasile nel 2017, redatto dal Consiglio indigenista missionario (Cimi) e presentato ieri a Brasilia. Nello studio si enumerano diciannove tipologie di violenza contro i popoli e si mette in evidenza che in quattordici di queste si registra un aumento di casi rispetto al 2016; in tre casi i dati sono stazionari e solo in due casi diminuiscono. Tra i dati più drammatici quelli dei suicidi di indigeni, indotti da situazioni di violenza (128 casi), gli omicidi (110 casi), la mortalità infantile (702 casi).
Inoltre, “soprattutto i gruppi dei grandi proprietari terrieri hanno agito per garantire che tutte le condizioni per un nuovo processo di sfruttamento dei terreni, abitati tradizionalmente dagli indigeni, siano consolidate nel paese. In altre parole, la pretesa è quella di “usurpare le terre dei popoli originari di questo paese”.
Il rapporto evidenzia infatti l’aumento di tre tipologie di violenza contro la proprietà: omissioni e ritardi nella regolarizzazione dei terreni (847 casi); conflitti sui diritti territoriali (20 casi); invasioni ed espropri, con sfruttamento illegale di risorse naturali e danni vari alla proprietà (96 casi registrati). Fanno parte di quest’ultima categoria (con un forte aumento rispetto ai 59 casi del 2016) il furto di risorse naturali, come legname e minerali; caccia e pesca illegali; contaminazione dell’acqua e del suolo con pesticidi; incendi e altre azioni criminali. A questi fatti si aggiungono intimidazioni e minacce, a volte di carattere violento.
Il rapporto del Cimi sottolinea anche che il governo del presidente Temer, nonostante le richieste, non ha riconosciuto nel corso del 2017 alcun territorio indigeno.