“Il nostro non è uno sguardo né di politici, né di sociologi: col cuore di pastori, ci preoccupano alcune situazioni particolari”. Lo ha detto il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, durante la conferenza stampa a chiusura del Consiglio permanente dei vescovi italiani. La prima dell’elenco è “la situazione drammatica dei giovani senza lavoro, che prima era a macchia di leopardo, ma adesso è generalizzata”. Bassetti ha citato come esempio le percentuali altissime di giovani disoccupati a Lamezia Terme ma anche a Torino: “In Piemonte il 40% dei giovani sono disoccupati”. “Non possiamo fermarci a discorsi rassicuranti”, ha ammonito Bassetti: “Dobbiamo capire l’animo della nostra gioventù, che è distante dal nostro mondo adulto, e delle volte liquidiamo questa distanza dicendo che i giovani sono problematici”. “Fare di tutto per creare lavoro”, l’appello del presidente della Cei, che ha citato il clima del dopoguerra per affermare che “quello che conta non è l’utilità immediata, è mettere in moto il lavoro”. “Trovare il sistema che rimetta in moto la macchina del lavoro”, la ricetta della Chiesa italiana: “Il resto viene da sé”. Non è mancata una domanda sul reddito di cittadinanza: “Quando si fanno opere buone non si possono dire cose cattive, ma non ci si può fermare lì”, la risposta di Bassetti. “Bisogna rimettere il moto il lavoro”, ha ripetuto: “Attenti, però, a non incrementare troppo il debito pubblico”. Tra le occasioni per rimettere in moto il lavoro, il presidente della Cei ha citato il “terremoto di entità unica” che due anni fa ha colpito – “e non era mai successo” – quattro regioni d’Italia: Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo. “È stata curata bene la fase d’emergenza, ma sono passati più di due anni e le cose sono com’erano”, il grido d’allarme del cardinale, che ha esortato ad “affrontare in maniera realistica il problema. C’è ancora chi sta in tenda, la maggioranza sta nelle abitazioni provvisorie, ma sono costruite in legno e non possono soddisfare il fabbisogno di tutta la popolazione”. Senza contare “la rimozione delle macerie e la necessità di ricominciare a costruire. Sono tremila, ad esempio, le chiese disastrate: e la chiesa, in Italia, non è solo un luogo di culto ma anche un centro di aggregazione sociale. L’identità di un popolo si forgia anche attorno ai suoi simboli”.