È stata un’estate bollente in Macedonia dopo l’accordo storico sul nome del Paese raggiunto con la Grecia e siglato sulle rive del lago di Prespa. Un’estate segnata da numerose proteste. È dal 1991 che tra Atene e Skopje ci sono tensioni a causa del nome “Macedonia” su cui la Grecia rivendicava l’esclusiva, puntando sulla sua regione omonima con capoluogo Salonicco. Ma 27 anni dopo è (forse) arrivata la svolta che potrà finalmente aprire per Fyrom – la ex Repubblica della Yugoslavia – la strada finora bloccata dalla Grecia verso l’Ue e la Nato. Domenica 30 settembre i macedoni sono chiamati a votare al referendum per pronunciarsi sul nuovo nome del Paese: Macedonia del Nord. Si tratta di un voto inedito per Skopje, ma anche a livello mondiale, essendo poche le nazioni che hanno “approvato” con voto popolare il nome del loro Stato.
Possibilità unica. Per i sostenitori del “sì” il trattato con la Grecia rappresenta una possibilità unica per uscire dall’isolamento e raggiungere rapporti normali con i Paesi vicini.
L’artefice del referendum è il premier socialdemocratico Zoran Zaev che si è prodigato con coraggio per raggiungere un accordo con il suo omologo greco Alexis Tsipras, ugualmente minacciato da proteste oltre il confine.
Dietro a Zaev c’è la coalizione del governo, composta dai socialdemocratici e due partiti della minoranza albanese. Incerti nella loro posizione invece, ma più propensi all’astensione, sono il partito Vmro-Dpmne (nazionalisti), al governo fino al 2017, insieme al capo di Stato Gjorge Ivanov che ha invitato al boicottaggio.
Cresce l’interesse. “I sondaggi dimostrano che cresce sempre di più la percentuale delle persone che parteciperà al referendum scegliendo il sì”, spiega al Sir l’analista politico macedone Miroslav Risinski. Il testo della domanda è: “Siete favorevoli all’entrata nella Nato e nell’Unione europea accettando l’accordo siglato tra Repubblica di Macedonia e Grecia?”. “La precisazione sull’accordo è importante perché non si tratta solo del nome ma anche di importanti modifiche costituzionali inclusa la rinuncia alla versione nazionalista della storia macedone moderna che legava Skopje all’antichità di Alessandro Magno”, aggiunge l’esperto.
Quesito ad hoc. Secondo Kosta Filipov, giornalista e corrispondente storico della televisione nazionale bulgara in Macedonia, “il testo del quesito referendario è scelto appositamente affinché la prima parte, a favore della Nato e dell’Ue su cui quasi tutti sono d’accordo, possa trascinare la seconda, cioè l’accordo con la Grecia che non piace a molti in Macedonia”.
Enigma-quorum. Per essere valido il referendum dovrebbero votare almeno il 50% degli elettori, ossia circa 900mila persone su un totale di 2 milioni di abitanti. Infatti, la grande domanda è questa: sarà raggiunto il quorum oppure la maggior parte della gente non si recherà alle urne? Secondo Risinski, comunque il carattere del voto è “consultivo e non obbligatorio”, dunque “un fallimento del referendum non renderà automaticamente nullo il trattato con la Grecia”. Il referendum – spiega – ha un significato politico, dando voce all’opinione dei macedoni. Comunque
“il grande nodo da sciogliere saranno le modifiche costituzionali previste dal trattato per le quali è necessaria una maggioranza dei due terzi dei deputati, mentre la coalizione del governo può contare su 65 parlamentari di un totale di 120”.
Serve un compromesso. In caso di fallimento il premier Zoran Zaev ha già detto di essere pronto a dimettersi. “Questo, oppure l’impossibilità di adottare le modifiche costituzionali, potrebbe portare alle elezioni anticipate nelle quali vinceranno ancora i socialdemocratici”: ne è convinto Risinski. “Perché – aggiunge – i macedoni hanno capito che per entrare nell’Ue è indispensabile questo compromesso”. “Certo – afferma ancora – se nei decenni passati non si fosse puntato sul nazionalismo, ammettendo semplicemente che su questo territorio hanno convissuto macedoni, bulgari e greci, le cose sarebbero oggi molto più facili. Ma io spero che la società sia maturata nel frattempo”. Non a caso diversi alti esponenti dell’Ue, degli Usa, della Nato, di Germania e Austria, sono venuti a Skopje invitando i macedoni a compiere il passo storico richiesto nel referendum. “È l’ultimo passo da compiere, ma dobbiamo farlo da soli, noi macedoni”, rileva l’analista politico macedone.
Pressioni e fake news. Nella campagna elettorale i media locali hanno parlato molto di una certa influenza russa che si profila fra i sostenitori del “no”: uno dei partiti contro il nuovo nome è “Macedonia unita”, che richiama il nome di “Russia unita”.
Ci sono state anche diverse forzature mediatiche e tramite social, comprese fake news, registrate all’estero per fare disinformazione.
“Quando il Paese si trova di fronte a una scelta storica dalla quale dipende il futuro per intere generazioni, perché altrimenti si tornerà alla retorica nazionalista che non porta a niente, le divergenze politiche e ideologiche non dovrebbero contare”, afferma Filipov. Domenica i macedoni dovranno dimostrarlo, anche se nessuno crede che il referendum porrà fine alle tensioni.