DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.
«In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”». Non è uno dei nostri, del nostro gruppo, non sta camminando insieme a noi, non è intimo a te come, invece, lo siamo noi, non è stato scelto direttamente da te come lo siamo stati noi! Gli apostoli “gridano” a Gesù tutto il loro sdegno per la situazione che si trovano a vivere; lo stesso sdegno che Giosuè, come leggiamo nella prima lettura tratta dal Libro dei Numeri, grida a Mosè quando due uomini, pur non facenti parte dei settanta anziani investiti ufficialmente dallo Spirito Santo, cominciano a profetizzare nell’accampamento di Israele.
E’ lo sdegno che viene fuori da una fede integralista, cieca, relegata dentro i confini del proprio orgoglio e delle proprie piccole sicurezze. Una fede dei muri e degli steccati, quando invece lo Spirito viaggia oltre qualsiasi muro o steccato; una fede delle etichette, degli autorizzati e dei non autorizzati quando invece lo Spirito, come ci dice la Scrittura, «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va».
La sua Parola non vuole creare “élite” esclusive ed escludenti, comunità che si ritengono migliori degli altri, “autorizzate” a giudicare e a compiere il bene, a controllare il bene che viene fatto, che pensano di non aver bisogno di niente e nessuno per camminare. Il Signore ci ammonisce e ci chiede di avere uno sguardo capace di riconoscere l’intervento dello Spirito anche là dove non ce lo potremmo mai aspettare, uno sguardo capace di riconoscere nei piccoli – cioè in tutti coloro che rispetto al discepolo sono meno muniti, più esposti, più deboli -, uomini e donne capaci di compiere azioni segnate dall’amore.
«Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo Spirito!»: è l’esortazione di Mosè che chiude la prima lettura, una parola che siamo chiamati a fare nostra affinché la ricchezza che è la nostra fede, come scrive San Giacomo, non marcisca, non sia mangiata dalle tarme della nostra presunzione, non sia consumata dalla ruggine della nostra autoreferenzialità, ma sia bene che ci impegna a condividere e non a trattenere.