Giorgio Paolucci

“I nostri genitori hanno dovuto affrontare il problema di entrare nella società italiana, noi vogliamo dimostrare che possiamo contribuire a migliorarla”. Omenea, terza di quattro figli, madre e padre emigrati dall’Egitto a Milano più di vent’anni fa, descrive così la differenza tra le prime e le seconde generazioni. “Anzi – aggiunge -, vorrei precisare: noi non siamo ‘secondi’, non vogliamo essere ridotti a ‘figli della migrazione’, siamo piuttosto una nuova generazione. Chi come me è nato in Italia o ci è arrivato da piccolo ed è cresciuto qui, considera l’Italia il suo Paese, e vuole viverci da protagonista, vuole bene a questa terra e desidera impegnarsi per il suo miglioramento”.

Sono più di un milione e mezzo i giovani come Omenea, molti di loro hanno acquisito la cittadinanza italiana dai genitori, altri al compimento del diciottesimo anno di età.

Altri ancora sono stranieri per quanto attiene alla nazionalità scritta sul passaporto, ma si concepiscono come italiani e sperano di diventarlo presto anche sotto il profilo giuridico, anche se la proposta di legge che puntava ad ampliare i criteri per ottenere la cittadinanza italiana è naufragata alla fine della scorsa legislatura. (È da notare peraltro che quasi un terzo dei 224mila stranieri divenuti italiani nel 2017 aveva meno di 15 anni).

Omenea è una dei protagonisti della mostra multimediale “Nuove generazioni. I volti giovani dell’Italia multietnica”, inaugurata al Meeting per l’amicizia tra i popoli nel 2017 e che, nella versione itinerante, è stata allestita in molte città (www.meetingmostre.com). Possibile prenotarla sul sito.

La mostra propone un viaggio negli ambienti popolati da questo universo giovanile e, valorizzando le testimonianze raccolte in presa diretta e riproposte in pannelli e video, indaga sul ruolo della famiglia, della scuola e dei luoghi di aggregazione, sul rapporto tra le tradizioni e i valori ereditati dalle terre di origine e quelli proposti dalla società italiana, su alcuni temi caldi come la cittadinanza e il terrorismo, che in questi anni ha visto protagonisti molti giovani di seconda generazione cresciuti in Europa.

Non è una mostra “a tesi”, ma un tentativo – ben riuscito, a giudicare dalle decine di allestimenti realizzati in scuole, parrocchie, centri culturali – di dare voce alla molteplicità di atteggiamenti presenti tra questi giovani, in cui il dato prevalente è comunque il desiderio di proporsi come una sorta di ponte tra culture, punto di incontro tra mondi spesso lontani ma che in seguito alle dinamiche migratorie sono divenuti sempre più vicini e interconnessi.

Sono protagonisti di quella cultura dell’incontro più volte indicata da Papa Francesco come antidoto alla “globalizzazione dell’indifferenza” e come ingrediente fondamentale per costruire una società dove le diverse identità possano convivere e reciprocamente arricchirsi.

La scuola è il laboratorio in cui più efficacemente si può costruire questa “identità arricchita”. Sono più di 800mila gli studenti stranieri, il 9 per cento del totale, ai quali vanno aggiunti i tanti giovani di origine straniera ma divenuti italiani dopo avere ricevuto la cittadinanza dai genitori. Pur nelle innegabili difficoltà di strutture e personale, in questi anni sono nate iniziative e progetti didattici che dimostrano la possibilità di fare delle differenze culturali un’opportunità positiva, e di testimoniare che prima della diversità c’è una comunanza.

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