Daniele Rocchi
“Il Sinodo indetto dal Papa per i giovani potrà aiutarci a capire meglio come avvicinarli e ascoltarli. Bisogna andare da loro questa è la prima cosa. Non è più tempo di aspettarli in chiesa o nei nostri uffici”. Ripete un concetto espresso più volte già in passato, mons. George Wadih Bacaouni, arcivescovo melkita di Haifa e pro-presidente dell’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, per commentare la prossima XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. L’apertura avrà luogo il 3 ottobre (fino al 28) con la messa in piazza San Pietro e i lavori in aula partiranno dal pomeriggio del giorno seguente. In questi giorni è stata diffusa, dalla Sala Stampa della Santa Sede, la lista dei partecipanti, tra i quali figura anche l’arcivescovo greco-melkita che guida una diocesi composta da oltre 70 mila fedeli, la comunità cristiana più numerosa di tutta la Galilea. Con lui anche i rappresentanti delle altre chiese orientali e dei Paesi mediorientali.
Sfide molteplici. Mons. Bacaouni parla del contributo delle Chiese di Terra Santa all’assise dei vescovi cercando di tratteggiare un quadro dei “nostri giovani” in Israele e Palestina, paesi segnati da un conflitto ultradecennale che non vede una fine e che si protrae con tutto il suo carico di violenza, morte e instabilità politica, sociale ed economica. A farne le spese, dice, “sono soprattutto le nuove generazioni. Sono tanti i giovani che vogliono emigrare alla ricerca di un futuro migliore in Paesi più tranquilli e stabili. E moltissimi sono cristiani. Come Chiesa cerchiamo in ogni modo di aiutarli a restare. Ma non basta avere vicino i propri leader spirituali, occorrono anche politiche adeguate”. E qui entra i gioco il tema dell’essere minoranza che mons. Bacaouni intende portare all’attenzione dei padri sinodali.
“Cresciamo, e con noi i nostri giovani, nella consapevolezza di essere una minoranza. Non abbiamo rappresentanti politici, non godiamo degli stessi diritti degli altri, siamo privi di influenza e non abbiamo molta voce nella nostra società”.
Ci sono altre sfide che attendono i giovani cristiani in questa area del mondo: “innanzitutto la difficoltà di poter condividere con altri loro coetanei, in particolare tra gli studenti universitari, lo stesso stile di vita. Per questo motivo – spiega l’arcivescovo di Haifa – non riescono a esprimersi facilmente sul piano religioso”. Ancora più difficile, poi, “è avere un lavoro così da formare una famiglia e trovare il proprio partner cristiano con cui condividere la propria vita e avere dei figli da educare alla fede”.
La minaccia della secolarizzazione. Emigrazione, lavoro, famiglia, istruzione: le sfide per i giovani di Terra Santa non finiscono qui. Al Sinodo si parlerà, come prevede il tema, anche di fede, di testimonianza e di discernimento vocazionale.
“La sfida più grande è come restare fedeli a Gesù”
sottolinea mons. Bacaouni. “Anche da noi le nuove generazioni si stanno allontanando dalla Chiesa. Evangelizzarle è una delle sfide più difficili che le Chiese di Terra Santa sono chiamate ad affrontare. Tanti giovani cristiani sembrano attratti dalla crescente secolarizzazione, così come accade in Occidente.
Sentiamo la pressione di un laicismo del tutto negativo. Lo vediamo dalla frequenza alla messa domenicale. Le chiese sono piene di persone anziane. I giovani, specie quelli che frequentano le università, partecipano sempre meno, complice anche il fatto che le facoltà qui sono aperte di domenica. Tuttavia chi viene in chiesa cerca dei buoni preti e dei bravi predicatori”.
Uno stimolo in più per cercare di dare spazio e ruoli alle nuove generazioni. Un tema questo molto a cuore all’arcivescovo che più volte, anche al Sir, ha ripetuto: “gli operatori pastorali invecchiano ma sono restii a lasciare spazio. La novità auspicata da Papa Francesco per la Chiesa – le nuove generazioni – sembra essere ancora lontana. Diciamo che
i giovani sono il futuro della Chiesa ma non li lasciamo lavorare”.
Un tempo profetico. Ecco allora che il Sinodo potrebbe essere “un tempo profetico” nel quale “cercare di vedere come rimettere Cristo, e il bene dei giovani, al centro della missione della Chiesa”. Mons. Bacaouni a riguardo si dice “ottimista”. Tra i motivi del suo ottimismo i “tanti giovani che invece di emigrare scelgono di restare per testimoniare nella loro terra il Vangelo di Cristo. Essi non hanno timore o vergogna di testimoniare la loro fede. Sono fortemente coinvolti nella sorte dei loro fratelli che in Siria e in Iraq sono stati uccisi o vengono perseguitati a motivo della loro fede. E si domandano perché questo accade… Abbiamo tante vocazioni, molte vengono dalla Giordania. In Israele stanno nascendo gruppi di preghiera all’interno delle università ebraiche dove negli ultimi due o tre anni si celebra anche una messa annuale.
In gioco è la nostra identità cristiana sia nel mondo arabo che ebraico
– ammette l’arcivescovo -. Bisogna quindi capire come vivere insieme e collaborare. Auspico – conclude – che questo Sinodo offra alla Chiesa delle prospettive chiare da seguire per essere sempre più vicini alle nuove generazioni e la rendano capace di comunicare e di interagire con loro. Il Medio Oriente è probabilmente la regione con la più alta percentuale di popolazione giovanile al mondo. La mia speranza è che con il Sinodo la Chiesa cambi il suo atteggiamento verso i giovani”.
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