SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si è tenuto nel pomeriggio di domenica 30 settembre, presso la parrocchia Madonna del Suffragio, San Benedetto del Tronto, l’incontro unitario di inizio anno associativo dell’Azione Cattolica diocesana. A condurre l’incontro dal titolo “Di una cosa sola c’è bisogno”, don Dino Pirri (direttore ufficio catechistico diocesano, ed ex assistente centrale ACR), con una lectio sull’icona biblica di quest’anno (Luca 10, 38-42), e Adamo Di Giacinti, presidente diocesano AC.
“Ci troviamo qui – ha esordito Adamo Di Giacinti – per ripartire ufficialmente con il cammino del nostro anno associativo, un anno che dedicheremo al discernimento, alla riflessione su quello che siamo; un anno che ci invita a generare processi di incontro e di ascolto con l’altro. Ultimamente tutto ciò che accade intorno ci porta a rivedere il nostro modo di essere cristiani e ci pone delle domande importanti: vogliamo fare un cammino senza avere una strada chiara oppure vogliamo seguire il Vangelo per come ci viene presentato e non per come ce lo vogliamo accomodare noi? Il Papa ci richiama alla vocazione alla santità, ed è quello che noi come AC vogliamo fare. Siamo sempre stati vicini al cammino della Chiesa e in questo vogliamo tracciare il cammino che il Papa ci ha indicato; quindi, quest’anno vogliamo fare un discernimento per capire cosa il Vangelo ci indica e quale strada dobbiamo percorrere per essere testimoni del Vangelo e dare la possibilità, a chi ci è a fianco, di innamorarsi del Vangelo e anche dell’AC. Facciamoci riconoscere come aderenti AC perché facciamo cose belle e gioiose, perché siamo gioiosi nel vivere il Vangelo e non perché facciamo tante cose. Ci lamentiamo, forse, che siamo in pochi ma l’importante è vivere appieno la nostra fede e dare una bella testimonianza”.
Dopo il presidente diocesano, ha preso la parola don Dino Pirri per presentare l’icona biblica: l’episodio di Marta e Maria, (Luca 10, 38-42). L’incontro tra queste due donne e Gesù è la risposta a una domanda rivolta a Gesù, più avanti nel Vangelo, da un dottore della legge che lo voleva mettere alla prova: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. A questa domanda, che nasconde un tranello, Gesù non dà una risposta diretta ma risponde all’interlocutore con un’altra domanda: “Che cosa sta scritto nella legge? Come leggi?” e il dottore della legge replica: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso”. Gesù gli disse: “Hai risposto esattamente; fa’ questo e vivrai”. Come troveremo, quindi, la salvezza? Non la troveremo facendo qualcosa, non la troveremo amando ciò che facciamo ma la troveremo amando senza misura. Non ci dobbiamo preoccupare di cosa dobbiamo fare ma di come farlo. Questa risposta è nella parabola del Buon Samaritano e, appunto, nell’episodio dell’incontro con Marta e Maria.
Sappiamo che Marta e Maria abitavano insieme al fratello Lazzaro a Betania; mentre Gesù, con i discepoli, era in cammino, entrò nel villaggio dove Marta lo accolse e gli offrì ospitalità. Mentre Marta è distolta per i molti servizi, la sorella, Maria, stava seduta ai piedi del Signore ascoltando le sue parole: una lo ospita preparando il cibo e le bevande e l’altra lo ospita intrattenendosi con lui. Le due sorelle fanno tutto ciò che è necessario fare per accogliere il Signore; come accade in tutte le famiglie, ognuno ha il suo compito, ma Marta vede Maria seduta, mentre lei lavora, e si lamenta con Gesù: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti” e Gesù le risponde: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Spesso si legge questa scena come una contrapposizione tra la vita attiva e quella contemplativa nella Chiesa, una divisione che non esiste di fatto; non è che l’atteggiamento di Maria sia migliore di quello di Marta, Gesù non rimprovera Marta per quello che fa, perché sta facendo il suo meglio per accoglierlo. Il suo rimprovero è per i suoi pensieri che dividono, che creano fratture nel suo cuore, nei confronti di altri e di Dio; paradossalmente, è arrivato da Marta il principe della pace e lei è in conflitto; Maria invece è in pace, ha trovato la Parola della vita e non sente il bisogno di dimostrare che vale, perché ha trovato la perla preziosa che vale più di tutte le altre cose e che quindi dà valore anche alla sua vita e la rende pacificata e unificata a Gesù. Non abbiamo bisogno di dimostrare che valiamo, perché il nostro valore è il Signore; non compriamo con i servizi l’amore di Dio e degli altri perché questo amore ci è dato totalmente e gratuitamente. Amare Dio con tutto l’essere, accoglierlo in verità, implica un cuore unificato, non diviso, dono di Dio, non conquista nostra. La condizione per vivere l’amore incondizionato verso Dio e verso il prossimo, chiama in causa l’abbandono della nostra volontà al dono di Dio che è l’unico che fa ogni cosa.
Quali sono le caratteristiche del nostro accogliere il Signore? La Chiesa è necessariamente una comunità che accoglie ma non solo, è anche una comunità in relazione e noi non possiamo appartenere alla Chiesa se non viviamo queste dimensioni dell’accoglienza. Va da sé che di questi tempi, parlare di accoglienza, significa dare un’implicanza ad una serie di ragionamenti e di pensieri che è nettamente contraria all’opinione corrente, all’opinione della maggioranza, come si dice oggi. Alla situazione contingente, noi cristiani dobbiamo domandarci se il nostro criterio di scelta di discernimento di prospettiva è il Vangelo oppure le parole degli altri. L’accoglienza rimane un valore fondamentale, un dovere perché ha a che fare con il nostro accogliere Gesù stesso.