Daniele Rocchi
Sinodo sui giovani al giro di boa e a fare il punto sui lavori è mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme dei latini, padre sinodale di nomina pontificia. I 267 padri sinodali, da tutto il mondo, e i 34 giovani “uditori”, stanno riflettendo (dal 3 ottobre) su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.
Tanti i temi emersi in questo scorcio di Sinodo, tra questi la coerenza, la testimonianza, gli abusi, la sessualità, i migranti, la presenza femminile, il clericalismo, la famiglia. Argomenti ricorrenti quando si parla di giovani e Chiesa tanto che il rischio di un “dejà vu” appare reale. Non la vede così mons. Pizzaballa per il quale il Sinodo “è l’occasione per fare il punto sulla condizione giovanile, sulla trasmissione della fede, sulla pastorale giovanile, ma in una visione unitaria, integrale e non più separata. I giovani non sono una Chiesa a sé, fanno parte di un’età della vita complessa. Avere quindi una visione complessiva e cercare di integrare mondo degli adulti e giovani generazioni è fondamentale. L’obiettivo è diventare adulti. Questo per me è un elemento di novità del Sinodo. Chiaro che la vita della Chiesa e il suo fondamento sono sempre gli stessi”.
Mons. Pizzaballa, dopo due settimane di lavoro, è possibile tracciare un primo bilancio del Sinodo?
Innanzitutto trovo arricchente che vescovi da tutto il mondo si siano riuniti per portare la loro esperienza di vita ecclesiale. In questi giorni sono emerse le diverse vedute sui temi legati ai giovani che, abbiamo visto, hanno tutti gli stessi desideri ma anche molte diversità legate ai loro contesti di vita. L’analisi dei problemi, per questi motivi, ha avuto dei tratti comuni e non. Nelle prossime due settimane saremo chiamati a fare sintesi delle diverse opzioni e possibilità.
Cosa è emerso dagli interventi dei giovani uditori in aula?
Direi che in tutti ho notato un forte elemento di attesa, legata anche ad una certa insofferenza circa la lentezza dei nostri sistemi ecclesiastici, la lontananza della Chiesa dai loro problemi, la necessità di entrare in una relazione maggiore.
C’è stato chi ha evidenziato la necessità di un diverso tipo di linguaggio e chi ha parlato dei problemi con le comunità parrocchiali che spesso non sono luoghi di accoglienza e comunità di credenti ma luoghi istituzionali.
Vuol dire che i giovani hanno invocato maggiore coerenza dalla Chiesa?
La coerenza è legata ad un altro tema ricorrente in questa fase dei lavori ed è quello della trasmissione della fede che non c’è più da un paio di generazioni, come minimo. Prima veniva trasmessa dalle famiglie oggi non più. Da qui la necessità per la Chiesa di tornare ad essere luogo originario di educazione alla fede. Una missione che passa attraverso la testimonianza che richiede coerenza e autenticità, parole che sono risuonate spesso in assemblea.
Ravvede il rischio di un Sinodo che guarda più ai giovani che già vivono una dimensione ecclesiale piuttosto che a quelli che si è soliti definire “lontani”?
No. Certamente vescovi e preti parlano con un linguaggio spesso ecclesiastico ma, nonostante ciò, è sempre stata ribadita l’attenzione verso tutti i giovani.
Quando si rimarca la mancanza di trasmissione delle fede si vuole anche ribadire l’urgenza di annunciare non solo a chi sta dentro ma a tutti indistintamente. Ecco che ritorna l’urgenza della testimonianza, dell’accoglienza, della prossimità con gesti e iniziative che esprimono la comune umanità.
Altro tema emerso quello della presenza delle donne nella Chiesa…
Se ne è parlato e alcune suore lo hanno evidenziato in maniera serena. In questi giorni ho visto visioni e punti di partenza molto diversi ma anche una forte tensione comune nella consapevolezza che
facciamo fatica a parlare ai giovani.
Nel parlare e rapportarsi con i giovani quanto pesa il clericalismo che Papa Francesco ha definito nel discorso di apertura del Sinodo “una perversione, radice di tanti mali nella Chiesa”?
Il clericalismo è una sorta di barriera tra i pastori, la Chiesa in generale, e soprattutto i giovani. Mentre gli anziani sono forse abituati a un certo stile i giovani non si riconoscono più. È un muro che impedisce alle nuove generazioni di comprendere il nostro linguaggio e a noi di andare verso di loro.
È necessario abbattere il clericalismo che difende una certa logica di potere.
A proposito di potere: tra i mali originati dal clericalismo, secondo Papa Francesco, ci sono gli abusi sessuali e gli abusi di potere nella Chiesa…
Se ne è parlato ma non sono stati temi di discussione centrale. Quando si è discusso di testimonianza si è parlato anche di contro-testimonianza e di mancanza di fedeltà alla coerenza. Gli abusi feriscono i rapporti di fiducia dei pastori e della comunità. In questo contesto si è parlato di abuso ma non come un argomento a se stante.
Qual è il contributo che i padri sinodali e partecipanti dal Medio Oriente stanno dando a questo Sinodo? L’intervento del giovane iracheno Safa Al Alkoshy, cattolico caldeo di Baghdad, è stato molto apprezzato…
Mancano ancora diversi giorni e alcuni padri devono ancora parlare. È vero che c’è bisogno di pane, di giustizia, di prospettive sociali ma abbiamo anche bisogno di riconciliazione nelle nostre comunità, di dialogo. Come Chiesa – è bene dirlo – non risolveremo i problemi politici e sociali del Medio Oriente. Per quante case e quanti progetti possiamo fare, il futuro delle nostre comunità non dipende dalle nostre capacità di investimento. È evidente che dobbiamo partire da altro, come i giovani.
Un’ultima domanda: quale atmosfera si respira in aula sinodale? Sappiamo che Papa Francesco è quotidianamente presente ai lavori.
Il clima è cordiale, l’ambiente è sereno e libero. Papa Francesco ascolta molto gli interventi e interviene poco. Inoltre trovo molto utili i tre minuti di silenzio che il Pontefice ha disposto ogni cinque interventi. In questo modo ognuno può prestare attenzione alle risonanze che le cose ascoltate possono suscitare.