“Il nostro popolo ha sofferto e continua a soffrire. Le nostre sorelle, le nostre mamme vengono violentate da uomini violenti, con il fucile. Noi speriamo in questo cessate-il-fuoco, in questo accordo di pace affinché possa cambiare questo atteggiamento di violenza in ponte di pace”. Irrompe a Bologna dove è in corso l’Incontro internazionale “Ponti di Pace”, promosso nello Spirito di Assisi dalla Comunità di Sant’Egidio, il dramma del popolo sud-sudanese, dove da cinque anni è in corso una delle più terribili e dimenticate guerre civili che ha ucciso almeno 50mila persone, causato oltre 2 milioni di sfollati e minato lo sviluppo del Paese africano facendolo sprofondare in una povertà endemica che non trova soluzioni. A dare voce alla speranza di pace del Sud Sudan è padre James Oyet Latansio, segretario generale del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan. Ricorda che il 12 settembre scorso è stato siglato nella capitale etiope, Addis Abeba, un accordo di pace tra il presidente sud-sudanese Salva Kiir e il leader dei ribelli Riek Machar. “È vero che è stato firmato questo accordo di pace – dice -ma questa firma è rimasta sulla carta. Noi come Chiesa, ma anche i seguaci dell’Islam, vogliamo che questa firma sia scritta nel cuore, che possa davvero cambiare l’atteggiamento”.
Come segue Papa Francesco la situazione in Sud Sudan?
Il Sud Sudan sta a cuore a Papa Francesco . Mi ricordo quando siamo venuti come Consiglio ecumenico delle Chiese del Sud Sudan, il Papa ha espresso dal profondo del suo cuore la sua vicinanza e le sue preghiere giornaliere per il popolo del Sud Sudan.
Quanto è importante per il popolo sud-sudanese sapere che il Papa è con loro?
Il popolo sud-sudanese e i sud-sudanesi che vivono nel campo profughi in Uganda, non vedono l’ora di sentire una parola di Papa Francesco sul Sud Sudan. Un giorno una signora anziana mi ha chiesto: “Quando verrà il Papa a darci una mano?”. E io le ho risposto: “Il Papa è con noi nella preghiera. Lui non vede l’ora affinché tutta questa violenza si fermi. Lui prega ogni giorno per noi”.
Si guarda con speranza e con fede alle preghiere di Papa Francesco. Noi soffriamo ma abbiamo fiducia nel domani, crediamo nella Resurrezione.
La voce di Papa Francesco sul Sud Sudan rimane isolata in un conflitto totalmente dimentico dalla comunità internazionale?
È vero. La voce del Papa alle volte viene messa da parte dagli uomini e dalla comunità internazionale ma il popolo sa con certezza che la voce di Francesco è una voce che cambia. Mi ricordo, per esempio, l’incontro che Papa Francesco ha avuto con il presidente sud-sudanese, Salva Kiir, quando era in visita pastorale in Uganda. Il presidente ugandese ha dato possibilità al presidente Kiir d’incontrare il Papa. Kiir è cattolico, anche se non “a tempo pieno”. Il Papa gli ha detto:
“Firma la pace, ferma questa guerra, ferma questa violenza”.
E lui gli ha risposto: “Santità, non posso, le mie mani sono legate”. Allora il Papa gli ha chiesto: “Ma legate da chi?”. Il Papa ha quindi chiesto al presidente sud-sudanese di fermare questi morti, di porre fine a questa guerra ma lui gli ha confessato di non avere il potere per farlo. Ma anche se la voce del Santo Padre viene isolata, ha la forza di cambiare l’atteggiamento, di agire sui cuori delle persone affinché questa narrazione di violenza e morte si trasformi presto in una narrazione di pace e di vita.
Perché è venuto a Bologna all’Incontro della Sant’Egidio?
Sono venuto per imparare come si fa a costruire i ponti.
Il Sud Sudan oggi ha bisogno di ponti tra le tribù, tra le famiglie, nella società civile, nel governo.
Mancano questi ponti di speranza e di pace tra la gente e i politici si appellano alle loro tribù per qualsiasi cosa. È vero che il “sangue etnico” ha un peso più forte dell’acqua del battesimo. Questo è vero. E a volte anche gli uomini di Chiesa vengono trascinati dal richiamo di questo sangue. Però guardando alla Croce di Cristo, capiamo che si può perdonare, che si può superare questa appartenenza etnica e tornare alla verità della fede che cambia profondamente un popolo.
Quanto è importante in un contesto come quello sud-sudanese la testimonianza di unità e riconciliazione delle Chiese cristiane?
È importante questo Consiglio ecumenico delle Chiese, in questo momento. Perché una Chiesa da sola non può fare nulla.
Per adempiere l’impegno della pace, bisogna lavorare insieme, cattolici, anglicani, presbiteriani e musulmani, per una pace per tutti.
La voce dei leader religiosi è forte perché come comunità di fede, noi possiamo cambiare l’atteggiamento, formare i sacerdoti e i fedeli delle nostre comunità affinché possano diventare operatori di pace e costruire ponti di riconciliazione.