L’Italia del domani sarà “il quadro risultante dalla diversa capacità inclusiva che i territori saranno in grado di esercitare in ragione della coesione che li contraddistingue e della resilienza che li caratterizza”. Claudio Gambino, docente di geopolitica dell’Università di Enna “Kore”, presenta i risultati del Rapporto della Società geografica italiana “Per una geopolitica delle migrazioni. Nuove letture dell’altrove tra noi” elaborato da un’equipe di ricerca coordinato da Franco Salvatori e Monica Meini.
Il Rapporto precede, senza pur avere la presunzione di prefigurare, quella che sarà la prossima realtà territoriale dell’Italia. Tenuto conto, però, della storica articolazione del tessuto nazionale, che ha sin qui intercettato e insediato flussi migratori consistenti, si può, senz’altro, affermare che la prossima Italia sarà il quadro risultante dalla diversa capacità inclusiva che i territori saranno in grado di esercitare in ragione della coesione che li contraddistingue e della resilienza che li caratterizza. Va parallelamente evidenziato, che lo spazio geografico italiano è interessato altresì da una significativa ripresa delle emigrazioni infra e internazionali. Si tratta certamente di un processo attivato dalla perdurante crisi economica globale, e domestica in particolare, e dalla conseguente perdita di competitività del sistema Italia in un andamento che sembra travalicare il momento congiunturale e si avvia a divenire strutturale nel medio-lungo periodo.
È supportata dai numeri l’idea di una “invasione” dei migranti?
I flussi migratori che hanno caratterizzato l’Italia nell’ultimo decennio, e che oggi registrano una progressiva riduzione degli arrivi dei cosiddetti migranti economici, sono principalmente dovuti all’instabilità del quadro geopolitico della sponda sud del Mediterraneo, ma non hanno propriamente le dimensioni e le modalità dell’invasione, diversamente da come vengono comunemente percepiti. In tal senso, va ricordato che
la Ue accoglie appena il 10% dei rifugiati mondiali, mentre l’86% sono accolti in Paesi cosiddetti in via di sviluppo.
Notevole resta comunque la pressione che viene esercitata sui Paesi europei per l’accoglienza complessiva di profughi, rifugiati e richiedenti asilo. Un’emergenza che non si presenta tanto per i numeri dei flussi in entrata, quanto per le modalità degli arrivi e per la scarsa efficacia della loro gestione.
Perché le persone lasciano i loro Paesi nonostante le difficoltà di un viaggio che può concludersi con la morte?
Il sistema di reti relazionali di cui si compone l’esperienza migratoria è ancorato a una trama complessa di legami interpersonali che uniscono i migranti attuali, i migranti già stabilmente insediati nel territorio di destinazione e i potenziali migranti dei Paesi di origine, nonché gli abitanti delle aree di accoglienza.
Oltre ai fattori macro che sollecitano il progetto migratorio (guerre, povertà, disastri naturali), una galassia complessa di motivazioni al livello micro spingono solo alcuni individui a intraprendere un percorso migratorio e non altri, seppur influenzati dalle stesse condizioni strutturali.
Il network di reti sociali in cui si incorporano le migrazioni, dunque, si nutre di un insieme di fattori non più confinati soltanto a variabili demografiche, geopolitiche, economiche.
Quali?
Altri elementi, come l’attività di sostegno delle Ong o i flussi informazionali e comunicativi delle nuove tecnologie, vanno a comporre il grande patchwork delle migrazioni, influenzando sia le dinamiche di sedentarizzazione nei Paesi di accoglienza e sia i processi di sviluppo economico e culturale nei Paesi di origine.
L’Italia è soltanto terra di passaggio?
Per molto tempo si è continuato a pensare erroneamente che gli stranieri immigrati nel nostro Paese, con particolare riferimento a quelli provenienti da Paesi a forte pressione migratoria extra Ue, fossero solo persone in transito verso altri Stati europei. In molti casi, invece, chi giungeva in Italia decideva di restarvi, anche se la forte mobilità interna che caratterizza la popolazione straniera li ha portati spesso in luoghi diversi da quelli in cui erano arrivati. Al di là, quindi, di una componente transitoria di migranti di passaggio, almeno così identificabili secondo i progetti migratori iniziali,
l’Italia è diventata luogo di destinazione
di una componente orientata al radicamento e alla stabilizzazione e negli ultimi anni si è raggiunta una fase di stabilità del numero di immigrati: circa 5 milioni di cittadini stranieri residenti, pari al 9% della popolazione italiana.
Ma dall’Italia si parte anche per trovare fortuna all’estero?
Per quel che concerne l’andamento dei flussi in uscita dal Paese, storicamente incostante, ha presentato due momenti di intenso sviluppo: all’inizio del secolo scorso e nell’immediato secondo dopoguerra. Dal 2010, però, assistiamo ad un’importante nuova inversione di tendenza, con un aumento costante degli espatri, a dispetto di un saldo migratorio che si mantiene ancora positivo.
La grande maggioranza dei nuovi emigranti italiani proviene dalle città.
Nel 2016 la prima regione di emigrazione, in termini assoluti, è stata la Lombardia (20.088 partenze), seguita dal Veneto (10.374) che ha superato la Sicilia (9.823).
Che lavori svolgono principalmente gli immigrati?
È aumentato comparativamente l’impiego in settori per loro natura stagionali, come l’agricoltura, i servizi alberghieri e turistici e i collaboratori domestici. Inoltre, il Jobs Act ha aumentato la flessibilità in uscita (licenziamenti più facili) e la flessibilità in entrata (rendendo non più necessario giustificare il ricorso a contratti a termine e di apprendistato). Va evidenziato, però, che nel complesso del tessuto economico nazionale si registra anche una sempre più incisiva presenza di imprenditori stranieri titolari di imprese attive registrate presso le Camere di Commercio.
Nel Rapporto si legge che “i migranti – se inseriti in un tessuto di coesione sociale che li guida e li supporta – sono da considerare come una risorsa importante”. Perché?
Una delle principali sfide della società contemporanea è quella di favorire, nei luoghi di principale attrazione dei flussi migratori, una interazione positiva fra nuovi arrivati e autoctoni, incoraggiando una partecipazione attiva dei primi nella società e nelle comunità di accoglienza. Obiettivo del Rapporto è anche quello di fare emergere alcune buone pratiche a livello locale che possano rappresentare un modello di riferimento per altri contesti territoriali.