Nei manifesti affissi in tutta la città, una cinquantina in totale, è scritto “Due uomini non fanno una madre” oppure “Due madri non fanno un padre”. In entrambi i casi, si può vedere un neonato in un carrello della spesa, una immagine forte, che nelle intenzioni dei promotori vuole sottolineare come la pratica dell’utero in affitto altro non sia che una compravendita di esseri umani ai quali è imposto di essere privati della madre che li ha partoriti.
Secondo l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria tale campagna pubblicitaria “è in violazione al comma 2 dell’art. 12 bis del Regolamento sulla pubblicità di cui alla Deliberazione A.C. n.50/2014 che cita: È vietata l’esposizione pubblicitaria il cui contenuto sia lesivo del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili”.
È bene ricordare però che la pratica dell’utero in affitto è proibita per legge in Italia, per cui è davvero assurdo che a dei cittadini che si battono per il rispetto della legge sia impedito di manifestare il loro pensiero. Si raggiunge poi il colmo se si pensa che il Comune di Roma che ha applicato di fatto una censura sul tema dell’utero in affitto è lo stesso che nel suo Regolamento comunale sulla tutela degli animali all’articolo 8 comma 6 afferma: “E’ vietato separare i cuccioli di cani e gatti dalla madre prima dei 60 giorni di vita se non per gravi motivazioni certificate da un medico veterinario”. A questo punto pare che un cucciolo abbia più diritti e tutele di un neonato.
A completare l’opera di censura e nel volerla rendere efficace, il suddetto Dipartimento ha imposto una sanzione di 100.000 euro alle associazioni promotrici dei manifesti pubblicitari che hanno già espresso l’intenzione di fare ricorso al Tar. Non è la prima volta che campagne pro life subiscono censure da parte del Comune di Roma: già ad aprile il nostro giornale si era occupato di un caso analogo (vedi QUI).