A mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina, primo vice-presidente della Comece, ha chiesto di tracciare un bilancio dei lavori assembleari.
Eccellenza, fra sette mesi il voto per il nuovo Parlamento. Come vescovi avete, tuttavia, scelto di aprire la vostra assemblea facendo memoria di una delle pagine più buie dell’Europa e del mondo. Perché?
Come Comece abbiamo voluto prendere coscienza di questa tragedia, in un luogo, Ypres, che porta i segni visibili dello scontro di popoli e di uomini che ha prodotto ingenti perdite umane da entrambi gli schieramenti. Ypres conserva per questo una memoria viva della tragedia della guerra al punto che ogni giorno commemora le vittime al memoriale di “Menin Gate” con corone di fiori portate da familiari e semplici cittadini. E così abbiamo fatto anche noi.
Con questa scelta abbiamo voluto ribadire la necessità di tenerne viva la memoria perché tragedie del genere non accadano più. Abbiamo voluto sottolineare, inoltre, la necessità di affrontare con responsabilità il presente per non permettere che le diversità e le differenze siano fonte di nuovi conflitti.
Ci sono, infatti, giovani e adulti che dopo decenni di pace non credono che possa più accadere di nuovo qualcosa di simile. Questo rappresenta un pericolo perché rischia di farci sottovalutare processi sociali, politici ed economici che potrebbero essere causa scatenante di crisi violente.
L’attuale clima politico europeo mostra la rinascita di nazionalismi e populismi che potrebbero trovare consensi nel voto di maggio 2019. Ne avete parlato in assemblea e cosa è emerso?
I ritorni di sovranismi, populismi e nazionalismi sono sempre stati, in passato, collegati a conflittualità incontrollate che hanno provocato la rovina di intere nazioni.
È evidente la preoccupazione per il futuro dell’Europa.
Da capire quale atteggiamento le Chiese devono maturare per fronteggiare questi fenomeni anche in vista della scadenza elettorale. Tuttavia va detto anche che le tendenze e gli orientamenti dell’opinione pubblica sono in continuo movimento, pertanto è lecito attendersi fra qualche mese anche una situazione diversa da quella attuale. Il timore è che l’Europa possa essere gestita da forze che perseguono obiettivi nazionalistici. Una situazione contraddittoria che potrebbe alla lunga portare a una grave crisi dell’Ue.
Come superare questa contraddizione?
È giusto che l’Ue rispetti, in uno spirito di sussidiarietà, le legittime identità e specificità nazionali. Ma questo è possibile solo se esiste una convergenza verso obiettivi comuni e il rispetto degli impegni assunti a vari livelli, non solo economici.
L’Ue è un valore, una conquista dalla quale non è possibile tornare indietro
perché, come concepita dai Padri Fondatori, essa è un bene comune da salvaguardare. Come vescovi chiediamo che siano salvaguardate le sensibilità e le esigenze dei popoli che la compongono, la loro identità culturale e religiosa specifica. Ma questo deve avvenire all’interno di un processo che sappia comporre equilibratamente cammino di unificazione e rispetto delle coscienze, delle culture e delle comunità. Purtroppo i nostri cittadini a volte non hanno una adeguata conoscenza dell’Europa e di ciò che essa può dare loro. Ecco, allora, che sovranismi, populismi e nazionalismi di ritorno fanno dell’Europa uno spauracchio enfatizzando problemi che vanno affrontati non con semplificazioni ma con intelligenza, equilibrio e sensibilità.
Al voto di maggio 2019 non parteciperanno i cittadini britannici. Con il negoziatore Barnier avete fatto il punto sulla Brexit. Che significato ha per l’Europa questa uscita?
La Brexit è un grave danno per l’Ue e per il Regno Unito.
La separazione sembra ormai irreversibile. Non resta che auspicare per il futuro forme di relazioni tra Ue e Regno Unito tali da valorizzare reciprocamente gli interessi materiali e ideali che continuano a essere comuni. La speranza è che da questa separazione nasca un ulteriore stimolo all’unità, alla collaborazione e all’intesa tra popoli e che eventuali altre aspirazioni a uscire dall’Ue si arrestino di fronte alle conseguenze che la Brexit sta mostrando di far subire ad ambedue le parti.
Questo sul piano politico. Sul versante pastorale ed ecclesiale cosa possono fare le Chiese perché il processo di integrazione europeo possa continuare con efficacia?
Innanzitutto chiedersi, come Chiesa, da dove nascono questi fenomeni populisti e antieuropeisti. Come vescovi sentiamo la responsabilità di cercare di interpretare l’umore dei nostri popoli che credono di trovare all’interno dei movimenti populisti e sovranisti possibili risposte alle reali difficoltà economiche, al disorientamento valoriale, al senso di paura e di minaccia che li pervade. Non si possono condannare coloro che appoggiano questi movimenti, ma è necessario comprenderli e interpretarli per portarli ad una presa di coscienza sull’importanza del cammino comune europeo.
Credo che sia intellettualmente disonesta l’azione di molti politici che semplificando e banalizzando i problemi ne danno la colpa sbrigativamente all’Europa. Al contrario convergendo in modo efficace sull’Europa – e il voto nel 2019 è vitale – l’Ue può diventare uno strumento per superare le paure e trovare risposte ai problemi.
Bisogna anche riconoscere che il modo in cui certi politici e certi funzionari gestiscono l’Ue spesso favoriscono la disaffezione dei popoli. A Bruxelles qualcuno rischia di non percepire il sentimento dei popoli ma li guarda dall’alto e li giudica frettolosamente. Cosa del tutto sbagliata. Va fatto lo sforzo di capire i problemi, le paure e il bisogno di guida e di futuro dei popoli. L’Ue non può essere solo un libro di regole da osservare ma uno strumento per rispondere a bisogni veri e soprattutto una visione di futuro e un progetto comuni.
Ha parlato di paure: quella dei migranti potrebbe essere il cavallo di battaglia di molti partiti in lizza…
In Plenaria abbiamo ribadito quanto Papa Francesco afferma in tema di accoglienza. L’Europa è consapevole del problema delle migrazioni. Sappiamo che è faticoso trovare un accordo tra le nazioni per una gestione coordinata dell’accoglienza e siamo altrettanto consapevoli che questo fenomeno non si può fermare ma solo gestire. L’impegno europeo è cresciuto enormemente sia nella protezione delle frontiere che nell’assicurare una regolamentazione dell’accoglienza. Sarà compito del nuovo Parlamento e della nuova Commissione trovare un accordo comune che tenga insieme tutti i paesi. Da parte delle Chiese continuiamo il nostro servizio attivando tutti i nostri organismi, come le Caritas, spingendo sia a livello nazionale che a livello europeo perché si trovi questo accordo che regolamenti il fenomeno migratorio nel rispetto dei diritti di tutti.
Mancano sette mesi al voto: cosa farà la Chiesa in questo tempo di “discernimento” elettorale?
Aiuterà i fedeli e l’opinione pubblica ad elaborare un giudizio equilibrato sul momento politico attuale, sul ruolo dell’Europa, e sull’importanza del voto del 2019. La stessa Comece è uno strumento per incidere, poiché svolge un ruolo di contatto con le Istituzioni europee per rappresentare opinioni e sensibilità e per contribuire a un processo decisionale che può davvero trasmettere i sentimenti e le attese dei popoli europei nel quadro della dottrina sociale della Chiesa.
Avvertiamo la responsabilità d’invitare i cittadini ad andare a votare.
A questo deve aggiungersi un compito educativo di lungo periodo. In questo senso le scuole e l’accompagnamento dei giovani giocano un ruolo importante.
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