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Brasile, Bolsonaro è il nuovo presidente

Bruno Desidera

Jair Bolsonaro è dunque, come ampiamente previsto, il nuovo presidente del Brasile, con il 55,1% dei voti. Vittoria attesa e prefigurata da tutti i sondaggi, dopo il 46 per cento ottenuto al primo turno tre settimane fa, ma non per questo meno dirompente e clamorosa. In pochi mesi, il candidato dell’ultradestra antisistema, ex capitano dell’Esercito nostalgico della dittatura militare, non certo un uomo nuovo essendo in Parlamento fin dal 1991, ha sconvolto la politica brasiliana imponendo uno stile politico aggressivo e spesso violento, messo da parte solo stanotte, per un conciliante discorso (“Rispetterò la Costituzione e la democrazia”).
Bolsonaro ha infarcito la campagna elettorale di slogan antifemministi e omofobi, veicolati soprattutto attraverso i social network. Ha promesso il pugno di ferro e l’uso dell’esercito per combattere la criminalità. E ha goduto della crisi dei partiti al governo negli ultimi anni, tutti coinvolti in scandali di corruzione. Il grande sconfitto è stato infatti il Partito dei lavoratori (Pt), rimasto orfano dell’ex presidente Lula, ancora agli arresti. Era forse l’unico, con il suo carisma, in grado di fronteggiare Bolsonaro, mentre ben poco ha potuto l’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, che pure è leggermente risalito negli ultimi giorni, evitando di essere umiliato.

L’esito delle elezioni nei singoli Stati dell’immensa federazione conferma la tendenziale crisi del Pt, ma offre un panorama diversificato e frammentato: il nord del Paese è quasi tutto a sinistra, il sud a destra. E i nuovi Governatori di San Paolo e Rio de Janeiro, usciti vincitori alo ballottaggio, erano appoggiati da Bolsonaro.
Ora,

dopo una campagna elettorale che ha drammaticamente spaccato un Paese in profonda crisi economica, sociale e morale,

si apre, ora un periodo denso di incognite per il grande Paese latinoamericano e per il futuro delle classi più povere, degli indigeni, della stessa Amazzonia. Tra i grandi elettori di Bolsonaro, fortissimo soprattutto nel sud del Brasile, dove tantissimi sono i discendenti degli emigranti italiani (lo stesso nuovo Presidente ha origini venete da parte del padre e toscane da parte della madre), figurano i grandi proprietari terrieri e i grandi gruppi industriali. Un ruolo decisivo è stato rivestito anche dalle comunità evangeliche e pentecostali.
Denso di incognite, invece, il rapporto con la Chiesa brasiliana, che non ha preso posizione sui singoli candidati in campagna elettorale, invitando però ripetutamente, fino a pochi giorni fa, a “deporre le armi dell’odio e della vendetta”. Tuttavia, Bolsonaro ha ripetutamente attaccato i vescovi e ha definito la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) e il Cimi (il Consiglio indigenista missionario) la “parte marcia” dei cattolici brasiliani. Sugli scenari che ora si aprono, il Sir ha intervistato dom Murilo Krieger, arcivescovo di San Salvador de Bahia, primate del Brasile e vicepresidente della Cnbb (nell’ultimo mese ha svolto le funzioni di presidente, in assenza del cardinale da Rocha, impegnato al Sinodo). L’arcivescovo tende la mano al nuovo presidente, ma avverte:

“La Chiesa non rinuncerà al suo ruolo profetico”.

Come il Brasile potrà uscire da questo clima di polarizzazione e violenza?
Ho molto più che una speranza, direi ne ho quasi la certezza: superato questo appuntamento elettorale, a partire da subito, la pace tornerà a regnare qui in Brasile. Tutti sono stanchi di una campagna elettorale che è stata molto estenuante, in quanto ci sono state ben poche proposte e molti attacchi reciproci. Certamente, in breve tempo, sia i sostenitori del candidato “X” che il candidato “Y” diventeranno consapevoli dei loro eccessi. Per quanto riguarda la violenza: è bene ricordare che essa è stata principalmente scritta o verbale. Di violenza fisica, come sappiamo, c’è stato un caso, ed è successo proprio qui nella sede dell’Arcidiocesi primaziale del Brasile, a San Salvador.

Quali saranno le principali richieste della Chiesa brasiliana al nuovo Governo?
Qui in Brasile, quando si insedia un nuovo Governo, c’è la tradizione di aspettare i primi cento giorni, per vedere che direzione prende. Quanto alle possibili domande: non abbiamo preparato nulla di preciso da chiedere agli eletti, anche se le posizioni della Cnbb (Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile) sono sempre state molto chiare. Tutti sanno quello che pensiamo noi vescovi. Certamente, mi riferisco soprattutto a ciò che è essenziale, ai valori. Per quanto riguarda le posizioni riguardo a singole questioni, potrebbero esserci delle differenze tra di noi. In ogni caso, valuteremo di volta in volta cosa chiedere.

La Chiesa continuerà a parlare di questioni sociali? E quali , soprattutto?
Nel momento attuale della nostra storia, ciò che ci preoccupa di più sono il numero di disoccupati e la crescente violenza, in gran parte causata dalla droga e dal narcotraffico. Continuiamo a sostenere che la pace è il frutto della giustizia; quindi dobbiamo investire di più nell’istruzione e su progetti che rispondano alle sfide della mancanza di alimenti, dei senzatetto, delle malattie, alcune delle quali erano ormai scomparse.

Siete preoccupati, come Chiesa brasiliana, del futuro del creato, dei popoli indigeni e dei più poveri? Come difenderli, nel nuovo contesto che si è venuto a creare?
La Chiesa è stata per decenni una coscienza critica riguardo alle decisioni esecutive e legislative. La Chiesa, in poche parole, applaude quando vengono prese misure solide, mentre critica i provvedimenti che feriscono i diritti dei più fragili. Agiamo attraverso note pastorali, messaggi, la Campagna della Fraternità, l’attività della Pastorale sociale, l’azione con deputati e i senatori che condividono i nostri valori, ecc. La Chiesa continuerà quindi a rivestire il suo ruolo profetico.