Gjergj Meta
Stojan è un villaggio al limite della mia diocesi, nella sua parte sud. Mi ci sono recato per la festa patronale, San Giovanni da Capestrano. Ho anche cresimato sette ragazzi e in chiesa c’erano in tutto venti persone.
È una chiesa piccolissima, ricostruita sulle rovine della vecchia che fu distrutta durate il comunismo. Il missionario fidei donum di Brescia, don Gianfranco, mi ha guidato a visitare anche la vecchia canonica che un tempo fu un convento di frati minori.
Dopo la messa, abbiamo visitato due famiglie povere, ma accoglienti e generose. Nella festa patronale tutte le case del villaggio sono aperte per ricevere ospiti a pranzo e a cena. Abbiamo assaggiato un po’ di grappa come da tradizione e poi da ultimo sono andato nella casa di Gjon che mi stava aspettando, perché sapeva che sarebbe venuto il vescovo.
Gjon ha 97 anni. Gli piace parlare in italiano e si fa capire bene. Anche con me vuole parlare in italiano, ma io gli ripeto che sono un vescovo albanese…
“Sono stato arrestato tre volte e destinato alla fucilazione, ma sono ancora vivo e mi ha mantenuto in vita la preghiera. Io ero un tipo sanguigno – racconta Gjon –, tenevo sempre la pistola con me. Avrei anche voluto usarla qualche volta, ma la preghiera mi ha trattenuto senza ammazzare nessuno. Ammazzare è un peccato. ‘Quello che Dio ce lo tenga lontano’ mi ha tentato varie volte a fare vendetta contro coloro che mi perseguitavano, ma non l’ho fatto”. Prosegue: “Il rosario – e me lo mostra tenendolo in mano –, ecco cosa mi ha salvato”.
E poi scherza sulla sua storia, fa anche dell’autoironia. Ricorda quando un segretario del partito comunista voleva fargli bestemmiare sant’Antonio e lui finse di essere demente dicendosi incapace di insultare una tartaruga. Anche in quella occasione, dice,
“il sangue mi era salito alla testa e volevo farlo fuori, ma qualcosa fuori di me mi ha trattenuto. Erano tempi difficili. La vita era legata a un filo. Mi hanno fatto di tutto, ma non hanno vinto. La fede ha vinto. Era la fede di mio padre e di mia madre… Quando eravamo bambini pregavamo tre volte al giorno il rosario”.
Gjon non si vuole fermare, ha tanto da raccontare, un’intera vita che tra tre anni arriverà a quota 100. Io gli dico: hai fatto bene a resistere. Ecco, le tue dita servono per la corona del rosario e non per muovere il grilletto della pistola. Sorride e concorda.
Poi gli dico: “Abbiamo portato Gesù da te visto che tu non sei venuto in Chiesa”. Ci mettiamo a pregare tutti insieme. Gli è accanto la moglie, la seconda moglie, perché la prima è morta lasciandogli i figli piccoli da crescere. Adesso sono tutti e due anziani e pregano insieme il rosario tutte le sere. Lui dice che a volte si alza anche la notte e quando non riesce a dormire prega il rosario.
Recitiamo il Padre nostro e poi gli mostro l’ostia dicendo: “Ecco l’agnello di Dio…”. Gjon è assorto e riceve la comunione raccogliendosi in silenzio. Rimaniamo alcuni attimi tutti in silenzio e preghiamo. Quindi impartisco la benedizione e gli chiediamo il permesso di congedarci da lui. Vorrebbe accompagnarci fuori, ma non glielo permettiamo. È anziano e fa fatica ad alzarsi. Gli prometto che andrò di nuovo a trovarlo e gli dico: “Grazie della tua bella testimonianza”.
(*) vescovo di Rrëshen (Albania)