“L’Europa è il miglior regalo che possiamo fare ai nostri figli”. Parola di Luca Jahier, presidente del Comitato economico e sociale europeo (Cese), l’organo consultivo dell’Ue di rappresentanza delle organizzazioni dei lavoratori, dei datori di lavoro e di altri gruppi d’interesse. E la data per scartare il regalo è già nota: quella delle elezioni europee nei 27 Stati membro dell’Ue – per la prima volta non parteciperà il Regno Unito uscito dopo la Brexit – in calendario tra il 23 e il 26 maggio 2019. A rovinare la festa, tuttavia, potrebbero essere, avverte Jahier,
“quelli che cercheranno di usare l’Ue come capro espiatorio di tutti i mali del mondo sfruttando le paure, le tensioni e le attese dei suoi cittadini, diffondendo false informazioni con l’unico scopo di conquistare il potere e tornare così a una cosiddetta ‘era aurea’ in cui l’Europa veniva controllata dagli Stati nazionali”.
Insomma la crescita delle forze populiste ed euro-scettiche rischia di mettere in seria discussione il progetto europeo “tacendo quanto di buono l’Ue ha prodotto in questi anni”. Su questi temi Jahier è anche intervenuto alla recente assemblea plenaria della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea).
Presidente Jahier, che cosa ha realizzato di buono l’Ue?
L’Europa, grazie a questa Ue che gestisce e governa un bilancio pari all’1% del Pil europeo e pari al 2% di tutta la spesa pubblica europea, ha garantito ai suoi popoli il più lungo periodo di pace della sua storia millenaria, dopo un secolo in cui ci sono stati 60 milioni di morti in due guerre, 75 milioni di feriti e di mutilati gravi, distruzioni di beni, di imprese, di tessuti e di territori senza precedenti. L’Europa ha inoltre garantito un progresso e una trasformazione che le ha permesso la riconquista di un ruolo senza pari nel mondo, all’interno della guerra fredda tra Usa e Unione Sovietica, imponendosi come luogo di mediazione e di costruzione multilaterale.
Oggi l’Europa è il posto migliore dove vivere, studiare, lavorare, crearsi una famiglia,
godere del rispetto dei diritti fondamentali, avere accesso a informazioni diverse e costruirsi un futuro. Non sono certo gli Stati nazionali che potranno garantire un esito migliore anche davanti alle grandi sfide. L’Europa, lo ribadisco, è il regalo migliore che possiamo fare ai nostri figli.
Che voto sarà quello del maggio 2019?
Le prossime elezioni avranno al centro il tema: l’Europa che vogliamo. Siamo consapevoli che solo mettendoci insieme si può uscire dalla guerra, fare pace, riconciliare e costruire progresso. Attraverso l’Ue abbiamo dimostrato che la parabola evangelica della moltiplicazione dei pani e dei pesci funziona: con le sue risorse limitatissime riesce a conseguire risultati che non hanno precedenti. Basti vedere quali altissimi standard a livello ambientale è riuscita a raggiungere, così come nel campo del commercio, in quello sociale e di tutela della salute. L’Europa ha generato meccanismi di investimento per la crescita e l’occupazione senza precedenti come il Piano Juncker che è arrivato a 400 miliardi di risorse partendo da 14 miliardi di investimenti pubblici. Nel corso della sua storia l’Europa ha sviluppato un modello di governo comunitario e una dimensione partecipativa e di accesso delle forze della società civile alla formazione di leggi e di politiche europee che non eguali al mondo.
L’Europa oggi è un modello di integrazione.
Nonostante ciò il rischio di deriva populista è quanto mai reale…
Io credo che la gran parte della popolazione – secondo diversi sondaggi – sia ancora legata ad una prospettiva di unione e di integrazione. Prendiamo atto che siamo all’interno di una grande trasformazione epocale in cui anche il sistema delle Istituzioni e di partecipazione dei cittadini è radicalmente messo in crisi.
Chi vuole abbattere il sistema e prendere il potere approfittando di una sua fase di debolezza non deve trovare gente inerte.
Si riferisce alle forze europeiste?
Le forze convinte devono assumere una maggiore vocalità e presenza soprattutto trovando il coraggio di spiegare con chiarezza cosa l’Europa ha fatto e sta facendo dando conto anche dei punti critici sui quali siamo ancora indietro.
Serve una chiamata “alle armi” di coloro che vogliono battersi per l’Europa
partecipando con idee al dibattito e andando a votare. Non lasciare il campo alle forze che vogliono distruggere. Le forze costruttrici sono largamente superiori.
Sul tappeto restano nodi importanti sui quali l’Ue sembra segnare il passo, penso all’unione bancaria, alla politica estera, alla Difesa comune…
Sull’unione bancaria pesa l’interesse di alcuni Paesi che vogliono mantenere una posizione di rendita. Sulla difesa comune europea sono stati fatti passi avanti importanti anche se siamo ancora lontani dall’obiettivo. Certamente le decisioni prese nel campo di ricerca comune e di investimenti industriali legati alla difesa, nel campo della sicurezza e dell’azione di contrasto al terrorismo, vanno tutte in questa direzione. Sulla politica estera comune bisogna dire che gli Stati membri dicono di voler lavorare insieme salvo poi rivendicare ciascuno il proprio spazio decisionale.
Ma ripeto: non sono i trattati europei o i meccanismi comunitari che non funzionano ma le gelosie e gli interessi nazionali che vogliono lucrare contratti e commesse con altri Stati esteri.
Uno dei temi al centro della prossima campagna elettorale sarà quello delle migrazioni. Altro nodo da sciogliere…
Sulle migrazioni l’Europa è stata un fallimento. L’Europa, non Bruxelles.
L’Europa dei 28 governi. In due anni e dopo 35 meeting il Consiglio Europeo, il luogo di concerto dei governi, quello che vorrebbero i sovranisti, non è riuscito a trovare un accordo sulla ripartizione dei migranti, sulla guardia alla frontiera rafforzata, sui meccanismi di controllo, su nulla. Il nodo non sono le Istituzioni comuni ma gli Stati membri che usano i poteri di veto uno contro l’altro. Sui migranti non siamo riusciti a trovare soluzioni e ciò ha provocato angoscia e preoccupazione che alcuni hanno cavalcato sbagliando.
A Bruxelles ha parlato ai vescovi della Comece. Qual è il ruolo della Chiesa davanti alle sfide che attendono l’Europa, a partire dal prossimo voto?
Innanzitutto alimentare una prospettiva di speranza e di unità in un tempo così conflittuale. La speranza è una gamba di futuro che trasforma energie sopite in riscatto. Questa Europa, non dimentichiamolo, è nata dal sogno di persone che sono state al confino e nei campi di concentramento. Le Chiese sono chiamate ad un enorme lavoro di formazione e di mobilitazione dei giovani perché leggano, capiscano e si assumano responsabilità dirette senza farsi prendere la mano da sistemi di comunicazione superficiali che trasformano un semplice tweet in ideologia. Le Chiese, inoltre, possono giocare un ruolo straordinario nell’accompagnare i processi di riconciliazione. La storia ci insegna che sono state coinvolte anche in grandi divisioni. A riguardo credo che il rischio di scisma nella Chiesa ortodossa potrebbe comportare divisioni a caduta molto pesanti in Europa orientale spostando equilibri e creare spaccature.
In che modo la Chiesa potrebbe “accompagnare i processi di riconciliazione”?
Con gesti significativi come una “grande preghiera per l’Europa” a partire dai monasteri per accompagnare questi mesi che precedono il voto di maggio 2019. Una preghiera per illuminare i governanti e le coscienze.
Oppure un pellegrinaggio europeo o il suono delle campane per sottolineare alcuni eventi come quello, purtroppo triste, dell’uscita della Gran Bretagna dall’Ue a marzo 2019. La Brexit non deve essere matrice di altre divisioni ma fonte di speranza in una ricomposizione. Il suono delle campane potrebbe accompagnare anche i leader europei che il 9 maggio si riuniranno a Sibiu per il loro ultimo summit.