X

Oltre 35mila richiedenti asilo e rifugiati nei centri Sprar

Patrizia Caiffa

Oltre 35mila posti di accoglienza in 877 centri Sprar distribuiti in più di 1.800 comuni (il 22% del totale). Il 70% dei richiedenti asilo e rifugiati accolti, dopo un periodo medio di sei mesi trascorso in piccoli gruppi in case, appartamenti, sparsi in maniera equilibrata nei territori, ha acquisito gli strumenti necessari per integrarsi ed essere autonomo. Ha imparato l’italiano, ha fatto corsi di formazione professionale, volontariato, comprende meglio la cultura del Paese di accoglienza. Una buona percentuale trova lavoro facilmente. I risultati positivi del sistema Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, un modello di buone prassi tra i più brillanti in Europa, rischiano oggi di essere vanificati dagli effetti del decreto Sicurezza e Immigrazione (dl 113/2018) se passerà anche alla Camera dei deputati dopo l’approvazione in Senato. I sindaci di tutta Italia riuniti nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) non ci stanno a smantellare un sistema virtuoso che funziona e mitiga possibili conflitti sociali. Per questo hanno esposto le loro preoccupazioni e perplessità a governo e parlamento e presentato una serie di emendamenti considerati “imprescindibili” per evitare che il provvedimento produca “conseguenze gravi e imprevedibili” sui territori. La fotografia della situazione contenuta nell’Atlante Sprar 2017 è stata presentata oggi pomeriggio a Roma, nella sede dell’Anci.

Oltre 165.000 posti nel sistema d’accoglienza, tra cui 35.881 nei centri Sprar. Attualmente il sistema di accoglienza per i migranti che sbarcano in Italia è di 165.773 posti: 129.904 sono nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e in strutture di prima accoglienza, ossia i centri più grandi, che impattano maggiormente e a volte in maniera negativa sui territori. Il sistema dello Sprar, con i suoi 35.881 posti in continuo aumento negli anni, ha incontrato il favore di tanti sindaci di tutti gli schieramenti, perché consente di gestire il fenomeno in maniera trasparente, con piccoli gruppi proporzionati alla popolazione, mirati all’integrazione sociale. “Non riesco a capire la ratio del decreto – ha affermato Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Anci all’immigrazione -. Non c’è una emergenza numeri perché gli arrivi quest’anno sono diminuiti dell’80%, non c’è una emergenza risorse”. “Smantellare in maniera insensata lo Sprar vuol dire riportare la lancetta della storia indietro di anni, tornando ai grandi centri gestiti dalla prefetture, senza la collaborazione dei sindaci”.

I potenziali effetti del decreto nei prossimi due anni “sono centinaia di migliaia di persone in strada, che lavoreranno in nero o diventeranno manovalanza della criminalità”.

L’Anci ha presentato una serie emendamenti che prevedono l’assenso del sindaco per l’apertura dei centri di accoglienza di qualsiasi natura, l’accesso allo Sprar dei più vulnerabili (compresi nuclei familiari), servizi di accoglienza per i minori non accompagnati, norme che consentano l’accesso a chi è già titolare di protezione umanitaria o ne definiscano le modalità, introduzione di una nuova tipologia di permesso speciale di soggiorno per “volontà di integrazione”. “Non sono emendamenti sovversivi ma ridanno senso alle cose – ha sottolineato Biffoni -. Confidiamo nella discussione alla Camera e speriamo ci sia la volontà di ascoltare le preoccupazioni dei territori”. Altrimenti, ha avvertito, “faremo il possibile per spiegare alla popolazione che noi sindaci non ci sobbarcheremo il peso di decisioni non nostre”.

8.000 persone vulnerabili nei centri Sprar. La particolarità del sistema Sprar è anche l’attenzione speciale data alla persone più vulnerabili, quasi 8.000 ogni anno: famiglie, minori soli, donne incinte o donne sole con bambini piccoli, vittime di tortura e violenze, di tratta, persone malate o affette da disturbi psichiatrici. Ogni anno vengono accolte in media 2.000 nuclei familiari (pari a 6.500 persone inclusi i minori), il 35% di queste è formato da quattro o più persone.  Nel 2018 i progetti presentati dai Comuni sono stati 877, ossia 100 in più dell’anno precedente, con 6.000 posti in più rispetto al 2017. Lo scorso anno, ad esempio, sono stati accolti 4.584 minori, di cui 3.127 senza famiglia (minori stranieri non accompagnati). 25.480 hanno frequentato almeno un corso di lingua, 15.976 un corso di formazione professionale e svolto un tirocinio formativo, 4.265 hanno trovato una occupazione lavorativa”.  “Nel 2013 c’era un totale di posti pari a quelli disponibili oggi solo a Roma, cioè 2.500  – ha spiegato Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale dello Sprar -. Partecipano al sistema tutte le città metropolitane e la grande rete dei piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti”. Di Capua ha ricordato che negli ultimi anni “abbiamo registrato un aumento delle vulnerabilità dovuto alla permanenza nei centri di detenzione in Libia”. A fronte di tante situazioni difficili, ha proseguito, “è bene mettere in risalto il valore dei professionisti dell’accoglienza specializzati nel lavoro con i minori, con le donne, con le vittime di tortura, i mediatori culturali. Tanti giovani hanno fatto in questi anni percorsi formativi che prima non esistevano”.

A Caserta rifugiati africani accompagnano i bimbi a scuola. Tra le tante buone prassi di successo, l’iniziativa Piedibus, un progetto gratuito di mobilità sostenibile: richiedenti asilo o rifugiati accolti nel centro Sprar di Caserta accompagnano a titolo volontario i bambini nel tragitto da casa a scuola. Durante l’itinerario i bambini hanno la possibilità di fare multe morali alle automobili e segnalazioni, insieme agli accompagnatori, richiedendo l’intervento alle istituzioni locali. I piccoli segnalano anche al sindaco le manutenzioni da fare (strisce pedonali, cestini, marciapiedi rovinati, barriere architettoniche) perché la loro città sia più vivibile. Un modo per creare senso di appartenenza alla comunità e coscienza civica. Ma soprattutto è un gesto di grande valore simbolico. La maggior parte dei volontari sono senegalesi.

“E’ un progetto rivoluzionario in termini culturali: i bambini vengono affidati a rifugiati africani, adulti e musulmani, proprio quelli su cui si costruiscono paure e pregiudizi”.

Redazione: