“Artigiani della pace”, “flebili fiammelle di speranza e di umanità in un oceano di sangue”, uomini e donne di dialogo in un Paese in cui il 99% della popolazione è di fede musulmana. Profondamente amati dal popolo algerino. È ancora oggi forte la memoria in Algeria dei diciannove martiri cristiani uccisi tra il 1994 e il 1996 in un decennio tragico che insanguinò il Paese massacrando giornalisti, attivisti per i diritti umani, intellettuali e imam. A delineare il loro profilo è padre Thomas Georgeon, monaco trappista e postulatore della causa di beatificazione. Saranno proclamati beati a Orano, presso il santuario di Notre-Dame di Santa Cruz il prossimo 8 dicembre con una messa celebrata dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. L’evento è storico: è la prima volta che una beatificazione si celebra in un Paese musulmano. “Un fatto inedito che dice qualcosa della memoria che si conserva ancora oggi viva”, sottolinea padre Georgeon, co-autore – insieme a François Vayne – di un libro (che viene presentato oggi) edito dalla Lev, dal titolo “Semplicemente cristiani. La vita e il messaggio dei beati martiri di Tibhirine”.
Padre Georgeon, quale messaggio lasciano i martiri di Tibhirine?
Uno dei significati della loro beatificazione è che siamo tutti chiamati a vivere l’alterità, cioè ad accogliere la differenza dell’altro, anche se non condivide la mia fede. Troppo spesso l’altro ci fa paura e si preferisce vivere tra quelli che ci assomigliano. Ma penso che nel mondo di oggi la differenza ci sia donata per arricchirci, perché ci fa crescere nella nostra identità. Non ce la fa perdere ma ci permette di andare a fondo alle nostre radici, sia umane sia religiose.
Chi erano i martiri di Tibhirine? Lei ha studiato a fondo i loro profili. Nella loro diversità, ha potuto rintracciare un filo rosso che li accomuna?
Erano religiosi che svolgevano il loro compito nella società algerina, facendo parte della Chiesa algerina che è una Chiesa particolare di sole 3mila persone immersa in un Paese al 99% musulmano. C’era da parte di tutti loro una dedizione al popolo algerino. Molti erano un punto di riferimento per il quartiere o il borgo in cui vivevano. Erano presenti durante gli anni tragici in Algeria per tenere viva una flebile fiammella di speranza e di umanità. E poi anche per testimoniare fino alla fine la loro amicizia anzitutto con Gesù e quindi con la gente che viveva loro accanto. Tra i martiri ci sono anche 6 religiose, sicuramente meno conosciute dei monaci di Tibhirine. Sorelle che si dedicavano chi all’eduzione delle ragazze con un centro di ricamo in una zona povera di Algeri. Chi nel campo delle cure ai bambini disabili e chi ai bisogni delle famiglie. Erano persone molto semplici che hanno vissuto nella quotidianità un rapporto con l’altro, l’altro musulmano, per tessere un dialogo che non è dialogo teologico ma dialogo della vita e così facendo, ci dimostrano che un vivere insieme è una meta possibile.
E per questo erano amati anche dai musulmani. Come si sta preparando l’Algeria a vivere questa beatificazione?
Sicuramente erano artigiani di pace, persone che hanno avuto il coraggio e anche il desiderio di rimanere accanto al popolo algerino proprio quando attraversava una tragedia. La beatificazione che si terrà ad Orano in Algeria, è un evento unico nella storia della Chiesa: beatificare dei martiri in un Paese musulmano. È un fatto inedito, sia per la Chiesa sia per l’Algeria. E quindi dice qualcosa della memoria che si conserva ancora oggi viva di questi beati. Ovviamente circa il 65% della popolazione odierna non era nato negli anni Novanta, però la loro storia è conosciuta. Per esempio, ad Orano dove Claverie è stato vescovo per 15 anni, è ancora molto forte la traccia che ha lasciato in città, perché era un uomo che entrava in dialogo non solo con i cristiani, ma con tutti, con il mondo della cultura, dell’educazione, con i politici ed ha tessuto legami di amicizia fortissimi. E poi i monaci di Tibhirine, anche loro, erano una presenza silenziosa nelle montagne dell’Atlante algerino e sono ricordati in Algeria. Oggi il loro monastero è diventato meta di pellegrinaggio per centinaia di persone e il 95% dei pellegrini è musulmano. La loro testimonianza è una provocazione. Viviamo in un clima di individualismo sfrenato che ci porta a metterci sempre davanti e a cercare il riconoscimento di noi stessi nel rapporto con l’altro. Mentre loro ci provocano nella gratuità perché hanno dato interamente la loro vita agli altri, come un dono, anche con il perdono.
Come si può perdonare qualcuno che ti vuole morto?
Il testamento di Christian de Chergé è una pagina oggi molto sentita, uno dei testi più importanti della spiritualità del XX secolo. E in questo testo egli da il perdono a chi lo avrebbe ucciso. Questi martiri hanno scelto di condividere fino alla morte la sorte del popolo algerino. E nella scelta di rimanere c’era anche la volontà di vivere il perdono a chi li avrebbe un giorno uccisi. Sono spesso chiamati testimoni della speranza, perché in mezzo a un oceano di sangue che ha travolto l’Algeria, loro erano questa piccola fiamma di speranza, la speranza di un futuro migliore.
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