Il 29 ottobre scorso, un ragazzo di 16 anni frequentante un istituto tecnico di Vimercate (MB), durante l’ora di storia, ha lanciato una sedia addosso all’insegnante. La triste vicenda è stata raccontata dai tg e dai giornali di tutta Italia. Ora il Consiglio di Classe ha deciso una pena tanto esemplare quanto rieducativa. Infatti lo studente, oltre a essere sospeso per due settimane, dovrà svolgere lavori socialmente utili fino a giugno e imparare a memoria un canto della Divina Commedia.
Se le prime due misure rientrano nei provvedimenti adottati generalmente dalle scuole nei confronti dei propri alunni più turbolenti, la scelta di far imparare a memoria un canto della più significativa opera di Dante Alighieri può sembrare strana.
Però per dirla con Dante, la Divina Commedia è stata scritta “in pro del mondo che mal vive” (cfr. DANTE ALIGHIERI, Purgatorio, XXXII 103) cioè perché la sua lettura ci aiutasse a vivere meglio la vita. Per l’immortale Fiorentino, parlare dell’Aldilà è solo una scusa per descrivere e illuminare la vita nell’al di qua.
La lettura scolastica della Divina Commedia spesso si ferma ad apprezzare le forme stilistiche e le figure retoriche, senza cogliere il profondo significato esistenziale dell’opera: è come se si desse più rilevanza al mezzo espressivo che non al contenuto, senza comprendere che il primo è del tutto funzionale al secondo.
La scelta presa dall’Istituto Floriani sembra invece riscoprire la Divina Commedia per quello che é: un testo nel quale ogni uomo può specchiare la propria vita e intraprendere insieme a Dante un cammino di purificazione. Magari è necessario proprio questo tipo di percorso perché lo studente possa arrivare a dire come Manfredi nel Canto III “Orribil furon li peccati miei/ ma la bontà infinita ha sì gran braccia/ che prende ciò che si rivolge a lei” (cfr. DANTE ALIGHIERI, Purgatorio III, 121-123) dove le “gran braccia” magari non sono quelle di Dio, ma più laicamente quelle di una scuola che si sforza di essere inclusiva, riammettendo al suo interno, dopo un necessario percorso, un alunno che ha gravemente sbagliato.
Come si capisce questo non ha nulla a che fare col buonismo. Si tratta invece di intraprendere un’azione educativa, perché un alunno che non viene rieducato costituirà in futuro un potenziale pericolo per l’intera società. È un bene per tutti se chi ha sbagliato può ancora essere reintegrato, anziché continuare ad essere un soggetto pericoloso. L’augurio allora è quello che lo studente, consapevole di quanto accaduto, si scusi sinceramente con l’insegnante e che dopo il percorso riabilitativo possa tornare “a riveder le stelle” (DANTE ALIGHIERI, Inferno XXXIV, 139).