In un mondo in cui si è portati a “creare tribù ostili, fondate sull’odio dell’altro, piuttosto che comunità”, occorre “reagire alla deriva narcisistica che divide il mondo tra noi e gli altri”. Ne è convinto Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero della Comunicazione della Santa Sede, per il quale è compito dei giornalisti e degli operatori dei media “spezzare questo incantesimo e provare a comunicare l’unità del genere umano”. Secondo Ruffini, è fondamentale “raccontare cose che gli altri non vedono e non raccontano, reagendo così ai tanti pronti a cavalcare la paura”. Nel suo intervento al simposio “Quale futuro per la solidarietà?”, organizzato all’Università Gregoriana per celebrare i 30 anni del Movimento e Azione dei Gesuiti Italiani per lo Sviluppo (Magis), la fondazione che coordina le attività missionarie e di cooperazione internazionale della provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù, Ruffini ha sottolineato la necessità di “reagire al dualismo feroce del web e di ricondurre alla realtà le persone intrappolate in un gioco vizioso”. Di fronte a chi “semina divisione e pensa che l’inciviltà si combatte con l’inciviltà”, è urgente “osare il racconto della missionarietà”. Che, ha spiegato il prefetto del dicastero vaticano, “significa recuperare la capacità di guardare negli occhi e lasciarsi interrogare in ogni momento dagli uomini in carne e ossa, non dai concetti o dai pregiudizi che dividono il mondo e le persone in categorie e sognano muri per poterle recintare, ma dai volti solcati di dolore dei più poveri”. Raccontare la missionarietà, ha concluso Ruffini, “è un modo per cercare la verità” perché vuol dire “dare un senso diverso alla falsa alternativa tra ‘aiutiamoli a casa loro’ e ‘aiutiamoli a casa nostra’ che anima da troppo tempo un dibattito senza senso” e “superare la falsa divisione tra noi e loro”.