“Noi siamo incudine e non martello. Se l’incudine è sufficientemente salda, tenace e solida, allora durerà più del martello. E potrà servire ancora a lungo per dare forma a ciò che verrà forgiato…”
Sono le parole chiare, nette e inequivocabili del Beato Clemens August von Galen, vescovo di Munster, pronunciate negli anni più bui della storia del secolo scorso, nella Germania nazista di Hitler.
Von Galen si distinse per la sua opposizione alla teoria e alla prassi del regime nazionalsocialista. Da principio, denunciò la violazione degli accordi del Reichskonkordat sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, e sulle sistematiche violazioni del Concordato e per la soppressione della stampa e delle associazioni cattoliche. Gli interventi contro l’eutanasia sistematica di malati, handicappati e psichiatrici lo resero l’oppositore più ostinato del programma nazista negli anni della sua esistenza. Un uomo che fece della sua autorevolezza l’arma più potente contro la persecuzione e l’indifferenza.
Il passato non è mai soltanto passato, seppur in forme diverse, torna ciclicamente nel presente. Dimenticare ciò che è accaduto rischia di renderci complici di un passato troppo pesante. La nostra memoria affinché resti viva, deve esser alimentata da un impegno forte verso coloro che non hanno voce. Credo che ogni generazione abbia la sua guerra da combattere, e quella contro la crisi e il degrado morale del nostro Paese è ancora da vincere, uno dei grandi avversari del nostro tempo è rappresentato proprio dall’indifferenza. Essa é colpevole perché non ci si può difendere da chi volta la faccia dall’altra parte, difendersi da chi è violento è possibile, ma non da chi fa finta di non vederti e di non vedere. Ed è la stessa minaccia cresciuta nel passato che rischia di tornare in tempi odierni.
Non esistono ricette o manuali per le istruzioni per eliminarla, tuttavia è necessario lavorare per costruire una mentalità alternativa, che sappia guardare oltre, che sia capace di generare prossimità. Questo riscatto può avvenire con il contributo di noi giovani. Siamo abituati ad essere considerati e tirati in ballo per parlare del “futuro”, ma non possiamo aspettare che arrivi questo “futuro” per iniziare a fare qualcosa, dobbiamo iniziare a lavorare nel presente per costruire l’avvenire.
Per costruire un nuovo corso sarà necessario coinvolgere tanti giovani appassionati, che non hanno paura di mettersi a servizio di chi non ha voce, di chi è emarginato, di chi è invisibile. Dobbiamo imparare a prenderci cura di delle persone, a costruire legami autentici.
Mi piace ricordare una frase del poeta argentino F.L. Bernárdez: “Per lo que el árbol tiene de florido, vive de lo que tiene sepultado”. Quando vediamo dei bei fiori sugli alberi, non dobbiamo dimenticarci che possiamo gioire di questa visione solo grazie alle radici.
Una via forte per salvarci sia il dialogo dei giovani con gli anziani: un’interazione tra vecchi e giovani, scavalcando anche, provvisoriamente, gli adulti. Giovani e anziani devono parlarsi e devono farlo sempre più spesso: questo è molto più urgente! E devono essere i vecchi tanto quanto i giovani a prendere l’iniziativa. C’è un passo della Bibbia (Gl 3,1) e dice: “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”.
Ma questa società scarta gli uni e gli altri, scarta i giovani così scarta i giovani così come scarta i vecchi. Eppure la salvezza dei vecchi è dare ai giovani la memoria, questo fa dei vecchi degli autentici sognatori di futuro; mentre la salvezza dei giovani è prendere questi insegnamenti, questi sogni, e portarli avanti nella profezia. Affinché i nostri giovani abbiano visioni, siano essi stessi sognatori, possano affrontare con audacia e coraggio i tempi futuri, è necessario che ascoltino i sogni profetici dei loro antenati.
Vecchi sognatori e giovani profeti sono la strada di salvezza della nostra società sradicata: due generazioni di scartati possono salvare tutti. Tutto questo si collega a quella che io chiamo la rivoluzione della tenerezza, perché c’è bisogno di tenerezza per un giovane nell’approcciarsi ad un anziano e ci vuole tenerezza se un anziano vuole avvicinarsi ad un giovane. Il messaggio deve partire dagli uni e dagli altri, non esistono gerarchie, entrambi devono ricercarsi…(Dio è giovane, Papa Francesco).
Noi giovani abbiamo questo compito, essere forti e saldi come l’incudine, affinché la memoria e l’impegno possano restare vivi, per affrontare con audacia e coraggio i tempi futuri, avendo cura dei sogni profetici dei nostri antenati. Dobbiamo avere il coraggio di restare radicati ai nostri ideali, prendendoci la responsabilità delle nostre azioni e accettare le conseguenze delle nostre scelte. L’arroganza e la prevaricazione non hanno mai portato lontano, la speranza e il dialogo hanno costruito ponti e reso l’umanità degna di esser considerata tale. Sarà difficile ma sarà come deve essere…
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