L’Egitto, un’esplosione di vita tra immense distese di povertà. Il Paese è ancora così. Piegato sotto il peso di una moneta debolissima, un turismo che non riesce a decollare soprattutto in seguito agli attentati di matrice islamista che negli ultimi anni hanno colpito la comunità copta ortodossa ed una serie di impegnative riforme economiche che hanno avuto un impatto devastante sulla vita delle persone. In questo Paese dove oltre l’85% della popolazione è musulmana, vive un piccola comunità cattolica (250mila fedeli, ndr). “Non abbiamo molte parrocchie. Non abbiamo chiese né tanti fedeli.
Siamo piccoli, pochi ma pieni di fede”,
confida mons. Jan Tomas Limchua, segretario della Nunziatura al Cairo. E subito aggiunge: “Cerchiamo il volto del Signore e questo volto lo troviamo nella carità”.
Una Chiesa piccola in un mare di carità: si presenta così la Chiesa cattolica in Egitto. Presente in tutte le pieghe della società: a fianco delle donne per la loro emancipazione; a sostegno dei bambini attraverso programmi di alfabetizzazione e formazione; accanto ai malati, soprattutto poveri, con programmi di day hospital e poliambulatori. Un piccolo mondo popolato da religiosi e religiose, volontari, operatori sociali. Uomini e donne che la Chiesa italiana ha scelto di non lasciare soli, sostenendo progetti (sono attualmente 14, se consideriamo il periodo 2013-2018), attraverso i fondi dell’8xmille per un ammontare complessivo di circa 2,5 milioni di euro. Dietro ai bilanci, ci sono volti sorridenti di bambini, giovani che lavorano, una sala operatoria, un impianto di radiologia, laboratori di artigianato… ma soprattutto la gratitudine di un pezzo di umanità. A raccontarla sono venuti fino a qui un gruppo di 12 giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), guidati da don Adriano Bianchi, presidente della Fisc, e da don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo.
“Quella della Chiesa italiana in Egittoe più in generale nel Medio Oriente è una presenza storica che si rivolge a tutti, cristiani e musulmani e che ci inorgoglisce anche come Paese”, dice al Sir l’Ambasciatore d’Italia in Egitto, Giampaolo Cantini. E aggiunge: “L’aiuto viene dato a tutti senza distinzioni. I servizi sociali offerti alla cittadinanza, soprattutto in campo educativo e sanitario, oggi sono necessari poiché l’Egitto sta attraversando un periodo di riforme economiche radicali che hanno un impatto sociale importante. La necessità di adeguare questi servizi sociali ai bisogni reali degli egiziani è oggi molto più forte”. E ricorda:
“Senza servizi sociali essenziali di sanità e istruzione non esiste sviluppo economico, politico e sociale”.
L’Ospedale Santa Teresa del Bambino Gesù si trova nel cuore di Schubra, uno dei quartieri tra i più popolosi e poveri della capitale egiziana, dove vive una consistente comunità cristiana. A sostenerlo è la comunità dei carmelitani scalzi (10 religiosi e 3 suore) ed uno staff di 120 tra medici, infermieri e operatori sanitari. Un poliambulatorio aperto tutti i giorni, fino alle 22.30, dove ogni mese si contano fino a 22mila utenti. Il centro offre vari ambulatori, dall’oculistica alla pediatria, all’ostetrica, con tre sale operatorie, una sala parto e 25 letti di degenza post-operatoria. La Cei ha donato un impianto per la radiologia e nel 2014 ha permesso il rinnovo del terzo piano e la costruzione di un intero piano. E’ il “primo ospedale cattolico di Egitto”, dice con un certo orgoglio il medico responsabile della struttura Osama Ishak. “Il nostro scopo è prenderci cura, senza distinzione tra cristiani e musulmani, di tutti i malati, soprattutto dei più poveri, di chi non può permettersi di andare in altre strutture”. Così operando, l’ospedale cristiano diventa scuola di umanità aperta a tutti perché “tutti sono fratelli e sorelle, figli dell’unico Dio”. “Teresa del Bambino di Gesù – spiega padre Patricio Sciadini – diceva
tutto è grande quando è fatto per amore.
Non è quindi grande quello che noi facciamo ma è grande anche la piccola cosa che facciamo, se fatta per amore”.
Dal cuore di Schubra a quello dei villaggi più poveri dell’Alto Egitto dove dal 1940 opera una delle prime ong egiziane, Aueed, l’associazione dell’Alto Egitto per l’educazione e lo sviluppo, fondata dal padre gesuita Henry Ayrout. Con l’aiuto della Cei, l’ong ha avviato nelle sue 35 scuole sparse nei Governatorati di Minya, Assiut, Qena, Luxor e Sohag un programma di istruzione formale che ha raggiunto lo scorso anno 12.500 alunni, grazie all’impegno di 950 docenti e 1.900 volontari.
Il 44% degli alunni è rappresentato da ragazze e bambine. “Si tratta di uno sforzo importante” ha affermato Dina Raouf Khalil, vice-direttore delle Relazioni esterne e del Fundraising ai giornalisti della Fisc accolti mercoledì sera nella sede Aueed del Cairo. “Lavoriamo con i più piccoli per arrivare alle loro famiglie. In queste zone rurali dell’Egitto, infatti, altissima è la dispersione scolastica. I bambini sono mandati dai loro genitori, spesso analfabeti, a lavorare piuttosto che a scuola. Si stima che il tasso di analfabetismo delle donne in zone rurali arrivi al 65% mentre in quelle urbane sia del 30%”.
Per queste persone l’Aueed ha messo in campo dei programmi di istruzione ‘non formale’ avvalendosi della collaborazione di 220 operatori, tutte donne. Le lezioni e le attività mirano alla promozione dei diritti umani (specie di donne e bambini), diritto alla salute, la lotta alla povertà, alla discriminazione. Lo scorso anno hanno frequentato il programma oltre 765 beneficiari, per il 96% donne, suddivisi in 63 classi in 28 villaggi.
“Lavoriamo per formare donne che sappiano leggere e scrivere, consapevoli dei propri diritti, capaci di provvedere ai bisogni della famiglia e dei figli in particolare favorendone la frequenza scolastica. Le donne – ha concluso Raouf Khalil – sono il vero motore della società egiziana”.