Il vero guaio è che una questione prettamente culturale e che incide non poco sul sentire comune delle persone del nostro Paese, a cominciare dai più piccoli – visto che sono coinvolte in particolare le scuole – diventa sempre di più occasione di scontro politico e ideologico.
Parliamo della “questione presepe”, che diventa anche “questione crocifisso” e chi più ne ha più ne metta, estendendo i motivi di querelle a qualsiasi simbolo religioso e cristiano in particolare nei luoghi pubblici e tra questi, in quei luoghi pubblici di “eccellenza” – per il valore simbolico che hanno e per la funzione che ricoprono – che sono le scuole.
Niente di nuovo, si dirà.
In effetti è da anni che si discute e si litiga anche su chi vuole o non vuole che nelle scuole italiane ci siano i crocifissi, o si facciano i presepi per Natale, o si cantino canzoni popolari religiose eccetera, eccetera.
Tutte le volte, approssimandosi le feste, ecco che si scatena il caso: in Veneto? In Lombardia? Al Sud? Poco importa il luogo. Poco importa anche come si scateni la questione: un preside particolarmente attento alla “laicità”? O dei genitori col desiderio di rivivere atmosfere passate? O viceversa… Il denominatore comune, solitamente, è che le dinamiche scolastiche vengono subito accantonate e dimenticate, per concentrarsi sugli oggetti del contendere: statuine, crocifissi e la loro “potenzialità offensiva”, curiosamente bidirezionale, cioè sia nel caso in cui vengano affermati, sia che vengano negati. Qualcuno si offende sempre.
Il guaio, però, per tornare all’inizio, è che
da un po’ di tempo in qua, c’è chi sbandiera il tutto come arma politica, facendosi scudo delle insegne cristiane e duellando con la spada della religione dei padri.
No, non è così che si può affrontare un problema culturale, molto serio, che fa riflettere su come si sta trasformando il sentire comune del nostro Paese. Ha ragione il ministro Bussetti a dire che “il Crocifisso è il simbolo della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni: non vedo che fastidio possa dare nelle nostre aule scolastiche anzi, può aiutare a far riflettere”. Così come ha ragione di affermare che il presepe fa parte “della nostra identità”. Il cattolicesimo, riconosce il Nuovo Concordato (1984), fa parte del patrimonio storico del popolo italiano. E la laicità non è negare, ma accogliere e distinguere. In questo senso, la scuola laica, di tutti, farebbe un pessimo servizio se, per una malintesa laicità oscurasse principi e simboli che hanno un “peso” culturale, cioè hanno orientato e orientano il modo di pensare e di vivere di un territorio. Questo, inoltre, non ha niente a che vedere con i giochi di maggioranza e minoranza: come se adesso, che gli italiani non sono più un popolo di cattolici praticanti – lo dicono le statistiche – si dovessero perdere quelle chiavi di lettura che permettono, ad esempio, di cogliere il significato di molta storia dell’arte, dell’architettura… oltre che dei riti e dei simboli di intere comunità.
Fare cultura è compito della scuola.
Attrezzare a comprendere e pensare in modo autonomo, preparare cittadini protagonisti del proprio mondo. Qui sta il nodo. E su questo piano – ben al di là delle bandiere politiche – va affrontata la “questione presepe” (o crocifisso), come pure molte volte e in molte sedi – anche istituzionali – è stato sottolineato. Allora richiamiamo pure i principi, discutiamo di laicità, ma soprattutto fidiamoci delle scuole, degli insegnanti, invitando ciascuno a fare il proprio mestiere. E a stare al proprio posto.
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