“Incalzati da compiti da assolvere, problemi da affrontare, sfide a cui rispondere”, “rischiamo di perdere di vista, o lasciare come sullo sfondo”, “il nostro rapporto personale con Dio”, “prima condizione” per fronteggiare “tutte le situazioni e i problemi che si presentano, senza perdere la pace e la pazienza”. Con queste parole padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, ha introdotto la prima predica di Avvento, alla presenza del Papa Francesco, presso la Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico. Il tema che fa da sfondo alle riflessioni verso il Natale – definite da Cantalamessa “un bagno mattutino di fede, prima di iniziare la giornata di lavoro” – è “L’anima mia ha sete del Dio vivente” (Sal 42, 2). “Gli uomini del nostro tempo – ha osservato il predicatore della Casa Pontificia – si appassionano a cercare segnali dell’esistenza di esseri viventi e intelligenti su altri pianeti”. “Una ricerca legittima”, pur “se tanto incerta”; pochi, tuttavia, “cercano e studiano segnali dell’Essere vivente che ha creato l’universo, che è entrato in esso, nella sua storia, e vive in esso”. “Abbiamo il Vivente reale in mezzo a noi – precisa padre Cantalamessa – e lo trascuriamo per cercare esseri viventi ipotetici che, nel migliore dei casi, potrebbero fare ben poco per noi, certo non salvarci dalla morte”. Il Figlio di Dio, oltre ogni tempo e riferimento geografico, “promette di dare sé stesso, al di là delle cose spicciole che gli chiediamo, e questa promessa è sempre infallibilmente mantenuta”. “Chi lo cerca – ha ricordato il cappuccino – lo trova; a chi bussa, lui apre e una volta trovato lui, tutto il resto passa in seconda linea”. Il grido programmatico “Tornare alle cose”, “nell’ambito della fede”, significa “sfondare il terribile muro dell’idea che ci siamo fatti” per correre “a braccia aperte” verso il Padre Celeste, scoprendo che “non è un’astrazione, ma una realtà”. “Tra le nostre idee di Dio e il Dio vivo – ha affermato il predicatore della Casa Pontificia – c’è la stessa differenza che c’è tra un cielo dipinto su un foglio di carta e il cielo vero”. Le riflessioni di padre Cantalamessa sono costellate di esempi, vite, citazioni di uomini che si sono messi a scrutare l’esistenza, e per taluni la “scintilla” dell’intelletto ha portato “all’illuminazione”: “Convertiti, ai quali l’esistenza di Dio si è rivelata improvvisamente, a un certo punto della vita, dopo averla tenacemente ignorata o negata”. Questo è successo, per esempio, al giornalista francese Andrè Frossard, morto il 2 Febbraio del 1995, che improvvisamente ha “aperto gli occhi”, ha avuto “un soprassalto della coscienza”, “accorgendosi di Dio”. Il cappuccino ha messo, comunque, in guardia dalla tentazione di imbrigliare il divino in una definizione, pur fondandosi sulla Bibbia. “Quello che possiamo fare – ha chiarito – è oltrepassare ‘i tenui segni di riconoscimento che gli uomini hanno tracciato sulla sua superficie’, rompere i piccoli gusci delle nostre idee di Dio, o i ‘vasetti di alabastro’ in cui lo teniamo racchiuso, in modo che il suo profumo si espanda e ‘riempia la casa’”. “Il divino è una categoria assolutamente diversa da ogni altra, che non può essere definita, ma solo accennata; se ne può parlare solo per analogie e per contrapposti”. Un’immagine che nella Bibbia ci parla così di Dio è quella della roccia: “Roccia non è un titolo astratto; non dice soltanto cos’è Dio, ma anche cosa dobbiamo essere noi. La roccia è fatta per essere scalata, per cercarvi rifugio, non solo per essere contemplata da lontano. La roccia attira, appassiona”. Il predicatore della Casa Pontificia ha concluso la prima predica di Avvento ricordando uno dei momenti di buio e sconforto della vita di san Francesco d’Assisi, “a causa delle deviazioni che vedeva intorno a sé dal primitivo stile di vita dei suoi frati”, e di come venne rianimato dalla certezza che “Dio c’è e tanto basta”. “Impariamo – l’invito – a ripetere anche noi queste semplici parole quando, nella Chiesa o nella nostra vita, ci troviamo in situazioni simili a quelle di Francesco. Dio c’è e tanto basta”.
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