Non sarà per nulla facile per il presidente Macron tessere le fila di un Paese che per quattro settimane è stato attraversato da manifestazioni di protesta dei gilet gialli. Ad una Francia divisa, vulnerabile, soprattutto scontenta, Macron si rivolgerà questa sera con un atteso discorso alla Nazione in cui cercherà di placare la rabbia annunciando probabilmente tagli alle tasse, aumento dei sussidi e delle pensioni minime, oltre all’addio all’ecotassa.
“Il compito questa sera di Macron non è facile”, taglia subito corto Dominique Quinio, presidente delle Settimane Sociali di Francia e per un decennio direttrice del quotidiano cattolico La Croix. “Dovrà parlare in maniera convincente ma soprattutto dimostrare che non è dalla parte dei ricchi, che non è sprezzante nei confronti delle parti più vulnerabili della società, e riconoscere non tanto i suoi errori ma il fatto che fino ad oggi il suo primo scopo è stato quello di risanare l’economia della Francia per poi, eventualmente dopo, lavorare sul sociale. Si è accorto in questi giorni che le due cose dovevano assolutamente andare di pari passo”.
La battaglia originaria parte con una manifestazione contro il caro benzina (e diesel) allargandosi poi via via a rivendicazioni più generali, dando sfogo ad un malcontento capillare che ha fatto piombare ai minimi la popolarità del titolare dell’Eliseo. L’elenco delle richieste è lunghissimo: si va dall’aumento del reddito minimo (smic in francese) a 1.300 euro netti, al ritorno al pensionamento a 60 anni e all’abbandono della ritenuta d’acconto. A scendere in questi giorni in piazza, sottolinea Quinio, “non è la frangia più povera del Paese quanto piuttosto le persone della classe media, i cosiddetti lavoratori poveri che fanno sempre più fatica a vivere e ad accettare il fatto di non avere né loro né i loro figli alcuna chance per migliorare il loro stato sociale”. Quello che sta emergendo – come hanno sottolineato in questi giorni anche i vescovi cattolici – è una Francia divisa:
Parigi e la provincia, le grandi città e il mondo rurale, il centro e le periferie.
“Con il conseguente sentimento che tutto è deciso e tutto è più facile per pochi rispetto alle masse”, analizza Quinio. “Nel mondo rurale, scompaiono servizi pubblici essenziali come scuole, uffici postali, ospedali. La gente vede che da una parte le tasse aumentano ma dall’altra non c’è un ritorno di servizi che lo Stato è tenuto a garantire”.
Le ragioni della crisi sono lontane. Ma Macron non ha fatto nulla per favorire l’armonia sociale del Paese. “Il suo linguaggio tecnocratico – osserva Quinio -, quasi sprezzante nei confronti delle persone più semplici, ha in qualche modo alimentato la rabbia”.
“Credo che con Macron siano tutte le élite ad essere messe in discussione: la stampa, i partiti politici, i sindacati”.
Certamente il presidente della Repubblica ha ricevuto forte e chiaro il messaggio. Ha compreso di non poter rimanere fissato “in uno schema troppo verticale di governo”. Ed ha per questo convocato all’Eliseo una riunione urgente con le forze politiche territoriali e sociali dando così prova di voler ridare una chance ai corpi intermedi dello Stato.
Sarà sufficiente tutto questo per placare la rabbia? “Non è detto”, risponde la presidente delle Settimane Sociali. “È normale che la rabbia si esprima ed è importante che il governo dia delle risposte. Il problema è che a dar voce al malcontento sono persone che non si riconoscono in nessun corpo intermedio”. “È proprio questo il punto più complicato”, incalza Quinio.
“I gilet gialli non hanno un rappresentante né dei portavoce e in casi come questi è molto complicato pensare a tavoli di trattativa”.
La via di uscita prevede due correnti convergenti: da una parte, il governo deve dare prova di volersi mettere realmente in ascolto della gente e trovare delle soluzioni; dall’altra, i gilet gialli devono accettare “le regole del gioco democratico”, conclude Quinio, e ciò significa “individuare un interlocutore e accettare di dialogare anche se ciò chiede di arrivare a compromessi”.