DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.
«Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti…»: è l’invito che San Paolo ci fa, oggi, attraverso le parole della lettera ai Filippesi.
Ma tutta la liturgia risuona di un richiamo forte alla gioia e alla letizia.
Il profeta Sofonia scrive: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!». Il salmista proclama: «Canta ed esulta, tu che abiti in Sion…».
Perché questo invito così forte e ripetuto, così urgente e non procrastinabile?
Perché «Il Signore è vicino!», «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente», «…grande in mezzo a te è il Santo d’Israele».
Ma il Signore non viene perché è prossimo il giorno di Natale e noi ricorderemo la sua nascita nella carne a Betlemme, e non viene perché viviamo nella speranza di un suo ritorno, alla fine dei tempi.
Noi siamo lieti perché il Signore è in mezzo a noi ogni giorno e ogni giorno continua ad incontrarci.
Come? Ce lo dice Giovanni Battista: il Signore viene nell’altro che, ogni giorno, ci si fa accanto!
Alle folle che lo interrogavano su come convertirsi, Giovanni risponde: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Ai pubblicani chiede di non esigere dall’altro «nulla di più di quanto è stato fissato».
Ai soldati dice: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, accontentatevi delle vostre paghe».
Giovanni non è un predicatore di morale ma è il testimone del Cristo che viene a noi, oggi, nella nostra storia di uomini e donne, attraverso il fratello che ci è donato.
Allora gioiamo…perché il nostro accogliere il Signore che viene non è questione di sacrifici da fare; gioiamo perché l’incontro con Cristo non avviene più facilmente se partecipiamo a più liturgie, se facciamo tutte le novene, se non manchiamo ad alcuna processione o devozione!
Gioiamo perché l’invito a vigilare ed attendere Gesù non è questione di moltiplicazione di veglie ma è accorgersi dell’altro che mi cammina accanto e riconoscere, in esso, il Signore presente nella mia vita.
«Che cosa dobbiamo fare?»: è una domanda che poniamo a noi stessi. E a rispondere ci aiuta la Parola. Una Parola che non propone cose da fare ma chiede a ciascuno di essere ciò che è, al pubblicano di continuare a fare il pubblicano, al soldato di continuare a fare il soldato; che chiede di vivere la vita a cui si è chiamati facendo, però, spazio all’altro, rispettandolo, accogliendolo. Una Parola che ci chiede di entrare in una logica altra, quella di un Dio che non ha mai preteso nulla da nessuno, non ha mai maltrattato nessuno, un Dio che ha sfamato, ha guarito, ha consolato, ha salvato…ha amato.