Se l’ingresso negli Stati Uniti continuerà a restare per la grandissima parte dei migranti un sogno destinato a non realizzarsi, la novità è la decisione del nuovo presidente del Messico, Andres López Obrador, di concedere rifugio, “per ragioni umanitarie”, a tutti coloro che abbiano fatto un’analoga richiesta per gli Stati Uniti. La speranza è di facilitare l’inserimento e la normalizzazione di coloro che accetteranno di restare in terra messicana. “In questo momento – spiega al Sir padre Andrés Ramírez, responsabile della pastorale della mobilità dell’arcidiocesi di Tijuana – al Barracal (il grande centro di accoglienza allestito da inizio dicembre al posto di quello iniziale del centro sportivo Benito Juárez, ndr) sono rimaste circa 1.700 persone”. A queste vanno ad aggiungersi alcune centinaia di migranti ospitati in altre strutture cittadine. Si tratta, evidentemente, di un numero ancora considerevole, ma di molto inferiore alle iniziali 7mila persone. Un migliaio circa è tornato o sta tornando nel proprio Paese d’origine, perlopiù l’Honduras. Molti altri, tra i più giovani, stanno cercando un inserimento lavorativo, agevolato dalle autorità messicane, soprattutto nella zona di Tijuana. Altri, ancora, stanno cercando di entrare clandestinamente negli Stati Uniti attraverso il deserto. La Chiesa di Tijuana continua a rimanere accanto ai migranti. “L’arcivescovo, mons. Francesco Moreno Barrón – prosegue padre Ramírez – ha celebrato al Barracal la messa del 12 dicembre, festa della Madonna di Guadalupe, e tornerà il 6 gennaio, festa dell’Epifania, assieme ai seminaristi. Celebrerà la messa e porterà in dono un quantitativo di coperte”.