“Molte azioni possono essere utili, buone e necessarie e addirittura possono sembrare giuste, ma non tutte hanno ‘sapore’ di vangelo. Se mi permettete di dirlo in modo colloquiale: bisogna far attenzione che ‘il rimedio non diventi peggiore della malattia’. E questo richiede da noi saggezza, preghiera, molto ascolto e comunione fraterna”. È il messaggio che Papa Francesco affida ai vescovi della Conferenza episcopale degli Stati Uniti del Nord America in occasione degli esercizi spirituali in corso presso il Seminario di Mundelein, a Chicago, dal 2 all’8 gennaio. L’intervento del Pontefice fa seguito alle polemiche scaturite negli ultimi mesi, dopo che una lettera della Congregazione dei Vescovi aveva suggerito all’episcopato statunitense riunito in assemblea a novembre 2018 di non votare le proposte preparate da una Commissione speciale per fronteggiare la crisi degli abusi sessuali del clero e aspettare l’incontro del Papa con i presidenti delle Conferenze episcopali in programma dal 21 al 24 febbraio. A parlare di “fraintendimento” e “discrepanza di vedute” è stato il card. Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale statunitense: “Non avevamo pianificato, né la Santa Sede aveva fatto una richiesta di condividere i testi prima che il corpo dei vescovi avesse avuto l’opportunità di modificarli”, ha dichiarato rimarcando la “grande delusione per i fedeli, che si aspettavano dai loro vescovi un’azione concreta”.
Le ferite causate dall’occuotamento. Nella lettera ai vescovi statunitensi, il Papa scrive che “la credibilità della Chiesa si è vista fortemente messa in discussione e debilitata da questi peccati e crimini, ma specialmente dalla volontà di volerli dissimulare e nascondere, il che ha generato una maggiore sensazione di insicurezza, di sfiducia e di mancanza di protezione nei fedeli. L’atteggiamento di occultamento, come sappiamo, lungi dall’aiutare a risolvere i conflitti, ha permesso agli stessi di perpetuarsi e di ferire più profondamente la trama di rapporti che oggi siamo chiamati a curare e ricomporre”. Rivolgendosi ai confratelli che in questi giorni sono riuniti in ritiro spirituale su invito esplicito dello stesso Pontefice, Francesco ricorda che
“la ferita nella credibilità esige un approccio particolare poiché non si risolve con decreti volontaristici o stabilendo semplicemente nuove commissioni o migliorando gli organigrammi di lavoro come se fossimo capi di un’agenzia di risorse umane.
Una simile visione finisce col ridurre la missione del pastore della Chiesa a un mero compito amministrativo/organizzativo nella ‘impresa dell’evangelizzazione’. Diciamolo chiaramente, molte di queste cose sono necessarie, ma insufficienti, poiché non riescono ad assumere e ad affrontare la realtà nella sua complessità e corrono il rischio di finire col ridurre tutto a problemi organizzativi”.
No a un episcopato disunito. Il Santo Padre incalza i presuli chiedendo di “costruire vincoli e spazi sani e maturi, che sappiano rispettare l’integrità e l’intimità di ogni persona” e “risvegliare e infondere fiducia nella costruzione di un progetto comune, ampio, umile, sicuro, sobrio e trasparente” che “esige non solo una nuova organizzazione, ma anche la conversione della nostra mente, del nostro modo di pregare, di gestire il potere e il denaro, di vivere l’autorità e anche di come ci relazioniamo tra noi e con il mondo”. È poi necessario
“abbandonare come modus operandi il discredito e la delegittimazione, la vittimizzazione e il rimprovero nel modo di relazionarsi”.
Per il Papa, “il Popolo fedele di Dio e la missione della Chiesa hanno già sofferto, e soffrono troppo, a causa degli abusi di potere, coscienza, sessuali e della loro cattiva gestione, per aggiungere loro la sofferenza di trovare un episcopato disunito, concentrato nel discreditarsi più che nel trovare cammini di riconciliazione. Questa realtà ci spinge a porre lo sguardo sull’essenziale, a spogliarci di tutto quello che non aiuta a rendere trasparente il Vangelo di Gesù Cristo”.
La Chiesa vegli sugli indifesi. Infine, un richiamato alla credibilità che “nasce dalla fiducia, e la fiducia nasce dal servizio sincero e quotidiano, umile e gratuito verso tutti, ma specialmente verso i prediletti del Signore”:
“Un servizio che non intende essere un’operazione di marketing o una mera strategia per recuperare il posto perso o il riconoscimento vano nel tessuto sociale”.
“La credibilità – conclude Francesco – si gioca anche nella misura in cui aiutiamo, insieme ad altri attori, a intrecciare un tessuto sociale e culturale che non solo si sta sfaldando, ma che alberga e rende possibili nuovi odi. Come Chiesa non possiamo rimanere prigionieri dell’una o dell’altra trincea, ma dobbiamo vegliare e partire sempre dal più indifeso”.