DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.
C’è smarrimento a Gerusalemme. Sono frastornati il re Erode, i capi dei sacerdoti, gli scribi del popolo: tre stranieri sono venuti da Oriente ad adorare il re dei Giudei la cui nascita è stata annunciata loro da una stella.
Gli studiosi di Israele conoscono bene la Scrittura, soprattutto là dove dice: «E tu Betlemme, terra di Giuda… da te uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Sanno perfettamente che il Messia arriverà da quella piccola cittadina: lo sanno, lo hanno studiato ma non riconoscono che sta accadendo proprio in quel momento!
Anche i magi sono studiosi ma quel che hanno in più è un desiderio: sono cercatori ed è questo bisogno di ricerca, questo desiderio di camminare per “inseguire” la verità che permette loro di incontrare Dio.
«Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre, si prostrarono e lo adorarono».
I cercatori incontrano un bambino…sì, perché l’essenza della nostra fede non sta nella originalità di una dottrina, non sta nella grandezza della parola, non sta nell’altezza della spiritualità, neppure nell’intensità dell’impegno per gli altri.
L’essenza della nostra fede sta nella carne di Cristo, di un Dio che ricomincia non da un’idea, non da una legge, ma da un bambino. Un Dio che abita la concretezza dei miei gesti, abita le mie mani, i miei occhi, le mie parole così come abita la carne, i gesti, le mani, gli occhi, le parole di ogni uomo. Ed è proprio in questa umanità che, da cercatori, siamo chiamati a fare esperienza di Dio!
I magi adorano il bambino. Adorare: portare la mano alla bocca, tacere e contemplare. Contemplare è fare ordine nella propria vita, negli affetti, nelle intenzioni, perché ne è stato trovato il centro, il punto più alto, la meta. E’ dire a tutti che il nostro cuore, la nostra anima, la nostra mente, le nostre forze si piegano, ma solo a Lui. A Lui che ha un volto come il nostro, ha occhi che sanno guardare con amore, ha orecchi che sanno ascoltare con pazienza, ha uno sguardo che penetra le nostre vite.
E quando si fa esperienza di un incontro significativo per la nostra vita, un incontro con “qualcuno” che ti tocca il cuore, senti il bisogno di entrare nella dimensione del dono: «…aprirono i loro scrigni e offrirono in dono: oro, incenso e mirra…».
L’oro, il valore concreto di ciò che viviamo; l’incenso, il nostro desiderio di cielo; la mirra, l’amarezza dei nostri limiti, delle nostre incertezze.
Infine, «avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»: non sono le idee ma gli incontri a cambiare la vita. Non le teorie ma le persone. E se noi facciamo così fatica a cambiare, forse ciò accade perché non siamo più capaci di vivere l’incontro con stupore e conservarlo nel cuore.
Lasciamoci “aiutare” dai Magi, perché una vita ha senso per ciò che cerca, ha senso finché rimane “nell’inquietudine” del desiderio di Dio e del fratello.