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Usa: migliaia di migranti nelle strutture al confine con il Messico

Maddalena Maltese

La stazione dei bus nel centro di El Paso è diventata il rifugio a cielo aperto di centinaia di migranti. Gli effetti dello shoutdown del Congresso americano, cioè il blocco delle regolari attività amministrative per la mancata approvazione del bilancio federale, in questa regione del Texas si leggono nei volti di questi uomini, ma soprattutto delle donne e dei loro bambini che le autorità di frontiera hanno depositato in questo spiazzale, nell’ordine di trecento al giorno, da più di una settimana. Le strutture di detenzione al confine sono stracolme e molti dei migranti, privi di documenti, hanno superato il limite massimo di permanenza e gli agenti non possono e “non vogliono” trattenerli visto che da circa 18 giorni lavorano gratis. Il 26 dicembre oltre 500 di questi disperati sono stati rilasciati senza previo accordo con le associazioni di volontariato e la casa dell’Annunciazione, uno dei maggiori centri di accoglienza gestito dalla diocesi. “Il 27 dicembre ne hanno liberati altri 300 – racconta Ruben Garcia, direttore esecutivo della Casa – e così ogni giorno fino a toccare il picco di 1.500 abbandonati in strada: una crisi umanitaria voluta”. Le persone stazionano nel deposito degli autobus, in aeroporto e in un parco locale. Sono bambini e famiglie senza soldi, senza biglietti, senza cibo, senza accesso ai telefoni.

I migranti rimangono a El Paso uno o due giorni prima che le loro famiglie o gli sponsor gli paghino un biglietto d’autobus o d’aereo per raggiungere altre destinazioni negli Stati Uniti. Altri rimangano più a lungo ospiti delle strutture di accoglienza messe in piedi dai volontari.

“È una situazione disumana e inconcepibile – ha ribadito mons. Mark J. Seitz, vescovo di El Paso -. Il nostro governo ha la responsabilità, quando prende questi rifugiati in custodia, di provvedere ai loro bisogni di base. Come americani non possiamo essere orgogliosi di situazioni come questa”.

Il 6 gennaio la Chiesa cattolica statunitense ha inaugurato la settimana delle migrazioni: fino al 12 gennaio momenti di preghiera e riflessione, analisi e progetti rivolti agli immigrati, rifugiati, vittime e sopravvissuti alla tratta si impegneranno per “Costruire comunità di accoglienza”, come sottolinea il titolo scelto per questo anniversario, proprio a sottolineare l’impegno dei cattolici sia nel dare il benvenuto ai nuovi arrivati sia nell’accompagnarli lungo il processo di integrazione.

Ma i numeri di El Paso, di Browsnville, di Rio Grande Valley, dicono che qui non servono celebrazioni: ogni settimana o meglio ogni giorno la realtà dei migranti irrompe nelle vite delle parrocchie, delle associazioni di quanti si prodigano senza misura per restituire dignità a chi fugge da violenza e fame. El Paso è riuscita a contenere la crisi umanitaria perché le scuole erano chiuse e tanti insegnanti si sono trasformati in volontari e tutte le parrocchie e gli istituti cattolici hanno messo a disposizione le loro strutture.

Se il confine con il Messico è il terreno minato su cui il presidente Trump sta mostrando i muscoli, per convincere anche il nuovo Congresso a votare i 5 milioni di dollari necessari al muro, la realtà delle migrazioni è complessa e non è da affrontare sempre e solamente in termini di emergenza o di minacce.

La Chiesa cattolica, infatti, chiede una riforma del sistema migratorio che non penalizzi i diritti umani e sopratutto non separi le famiglie.

Negli ultimi dieci anni 7,4 milioni di immigrati sono diventati cittadini americani e con 11,74 milioni di dollari di tasse contribuiscono alla ricchezza del Paese. Persino i giovani del Daca, il programma per chi arrivato bambino negli Usa senza documenti ha potuto comunque studiare e lavorare, pagano 1,7 milioni in tasse annuale, ma la presidenza e il Congresso li mantiene in un limbo senza direttive: saranno espulsi o potranno restare, qualora il muro venga approvato. Una riforma efficace del sistema migratorio non può non tener conto dei rifugiati, soprattutto per la lunga storia di accoglienza che caratterizza il Paese.

Dal 1975 oltre 3,3 milioni di rifugiati sono stati accettati e sono una forza lavoro validissima.

Le scelte dell’amministrazione Trump invece hanno giocato al ribasso diminuendo le quote di accoglienza ogni anno, le più basse di tutta la storia del Paese. Le statistiche intanto confermano che sono Honduras, El Salvador e Guatemala i principali luoghi di fuga poiché le famiglie vivono sotto minaccia e non esiste prospettiva di futuro che non sia legata alla coltivazione e al commercio della droga. Solo nel 2017, da questo Triangolo della morte sono arrivati oltre 41mila minori non accompagnati, numeri irrisori se paragonati ai 110mila giunti nel 2015.
“Invece di contribuire a migliorare la situazione nel loro Paese d’origine – continua il vescovo Seitz – una situazione che la nostra nazione ha contribuito in molti modi a creare, specialmente per le dipendenze da droghe illegali, maltrattiamo talmente tanto chi cerca rifugio qui, da sperare che altri non vengano. Loro rischiano per salvarsi la vita, mentre noi, cittadini di una delle nazioni più ricche del mondo dovremo fare i conti con le conseguenze dei nostri cuori induriti”.

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