“Vogliamo ritrovare e risvegliare insieme a voi la continua novità e giovinezza della Chiesa aprendoci a una nuova Pentecoste”. Nel discorso per la cerimonia di accoglienza e apertura, il Papa traccia così il “filo rosso” che lega il Sinodo dedicato ai giovani e la Gmg di Panama, e spiega il senso di quella che Francesco, già nel videomessaggio per l’evento che vede riuniti nella piccola Repubblica centroamericana 250mila giovani da circa 150 Paesi del mondo, radunati nel Campo Santa Maria Antigua della Cinta Costera, aveva chiamato la “rivoluzione del servizio”. Francesco definisce i giovani “veri maestri e artigiani” della cultura dell’incontro, che è un appello e un invito ad “avere il coraggio di mantenere vivo un sogno comune, chiamato Gesù”: perché il cristianesimo non è “un insieme di verità da credere, di leggi da osservare o di proibizioni”, come spiegava Oscar Arnulfo Romero, canonizzato tre mesi fa, vero e proprio faro di questa Gmg fin dai primi discorsi pubblici del Papa. Il cristianesimo, sintetizza Francesco, “è portare avanti il sogno per cui Lui ha dato la vita: amare con lo stesso amore con cui ci ha amato”. “Credi in questo amore?”, la domanda che da il “tu” al popolo giovane. L’auspicio finale, dalla Cinta Costera, è che Panama in questi giorni non sia “solo un canale che collega i mari, ma anche un canale in cui il sogno di Dio continua a trovare altri piccoli canali per crescere e moltiplicarsi e irradiarsi in tutti gli angoli della terra”.
“Grazie per averci aperto le porte di casa”. Comincia con un ringraziamento il primo discorso del 24 gennaio, indirizzato alle autorità e pronunciato a Palazzo Bolivar, subito dopo la cerimonia di benvenuto nel palazzo presidenziale e la visita di cortesia al presidente della Repubblica di Panama, Juan Carlos Varela Rodriguez.“Il vostro Paese, per la sua posizione privilegiata, rappresenta un luogo strategico non soltanto per la regione, ma per il mondo intero”, l’omaggio di Francesco:
“Ponte tra gli oceani e terra naturale di incontri”, Panama è un “hub della speranza”, perché “anche il diritto al futuro è un diritto umano”:
la Panama giovane vuole dire “no” alle miopi vedute a corto raggio e creare “canali a misura d’uomo che diano impulso all’impegno e rompano l’anonimato e l’isolamento in vista di un nuovo modo di costruire la storia”.
“Istruzione di qualità” e “lavoro degno” – il primo appello – sono la condizione indispensabile perché tutti gli abitanti del territorio possano essere protagonisti attivi del proprio destino, a partire dalla “ricchezza dei popoli nativi”, che Francesco enumera uno per uno e poi cita in ognuno dei suoi primi tre discorsi: Bribri, Buglé, Emberá, Kuna, Nasoteribe, Ngäbe e Waunanaa.
“Vivere con austerità e trasparenza, nella concreta responsabilità per gli altri e per il mondo”,
la consegna alla classe dirigente del Paese: “Una condotta che dimostri che il servizio pubblico è sinonimo di onestà e giustizia, e il contrario di qualsiasi forma di corruzione”. Di qui la necessità di “un impegno, nel quale tutti – incominciando da quanti ci diciamo cristiani – abbiamo l’audacia di costruire una politica autenticamente umana”, tramite “una cultura di maggiore trasparenza tra i governi, il settore privato e tutta la popolazione”.
“Rubateli alla strada prima che sia la cultura della morte che, vendendo loro fumo e soluzioni magiche, catturi e sfrutti la loro immaginazione”,
l’appello ai vescovi, a cui è indirizzato il secondo discorso del Papa, nella chiesa di San Francesco d’Assisi: “E fatelo non con paternalismo, dall’alto in basso”. Violenza domestica, femminicidio, bande armate e criminali, traffico di droga, sfruttamento sessuale di minori: Francesco conosce bene le minacce che ipotecano la vita dei giovani, alle spalle delle quali c’è “un’esperienza di orfanezza frutto di una cultura e di una società che ha rotto gli argini”, lasciando i giovani “senza il calore di una casa, senza famiglia, senza comunità, senza appartenenza, in balìa del primo truffatore”.
Poi il Papa affronta il tema della migrazione forzata:
“Molti dei migranti hanno volto giovane,
cercano qualcosa di meglio per le loro famiglie, non temono di rischiare e lasciare tutto pur di offrire le condizioni minime che garantiscano un futuro migliore”. “Su questo non basta solo la denuncia”, la ricetta di Francesco: “La Chiesa, grazie alla sua universalità, può offrire quell’ospitalità fraterna e accogliente in modo che le comunità di origine e quelle di arrivo dialoghino e contribuiscano a superare paure e diffidenze e rafforzino i legami che le migrazioni, nell’immaginario collettivo, minacciano di spezzare”. “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, i quattro imperativi, ribaditi più volte in questi anni. “Non possiamo rimanere indifferenti”, l’appello: dobbiamo “chiederci continuamente: da che parte vogliamo stare?”.
“Sentire con la Chiesa”, come Oscar Arnulfo Romero.
È l’invito centrale dell’incontro con i vescovi del Sedac. “Non abbiamo inventato la Chiesa, non è nata con noi e andrà avanti senza di noi”, dice il Papa a proposito del martirio, che non è sinonimo di pusillanimità. “Romero ha sentito con la Chiesa perché, prima di tutto, ha amato la Chiesa come madre che lo ha generato nella fede e si è sentito membro e parte di essa”, osserva Francesco: “Non è stato ideologo né ideologico”. La sua lezione è quella che il Pastore “deve imparare e ascoltare il battito del cuore del suo popolo, sentire l’odore degli uomini e delle donne di oggi fino a rimanere impregnato delle sue gioie e speranze, delle sue tristezze e angosce”, senza dicotomie o falsi antagonismi. Toccare le ferite della gente, che sono anche le nostre ferite, l’invito: “Le reti servono a creare contatti ma non radici, non sono in grado di farci sentire parte di uno stesso popolo”, il monito che privilegia la realtà concreta rispetto a quella virtuale, la compassione rispetto al sensazionalismo.