“Il mio cuore è rimasto là. Abbiamo perso tutto. Prima di partire abbiamo venduto ciò che avevamo perché non volevamo lasciare nulla nel Venezuela di Chavez. Io, mia madre e i miei due figli siamo arrivati così a Panama nove anni fa”. Gabriella Pelosato, esule venezuelana di chiare origini italiane, rievoca la crisi del suo Paese vissuta sulla pelle della propria famiglia partendo da lontano.
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photosmash_disabled-mediaelement”>Quanto sta accadendo in questi giorni nel Paese sudamericano – le proteste represse nel sangue dal regime e l’autoproclamazione a presidente pro tempore del Paese del presidente dell’assemblea nazionale Juan Guaidó – è frutto di una situazione insostenibile che dura oramai da molti anni .
Speranza vana. “Quando 10 anni fa decisi di emigrare i miei parenti mi dissero che le cose si sarebbero sistemate e la situazione nel Paese sarebbe migliorata. Purtroppo la storia racconta un destino diverso”. “Già nel 2009 – ricorda Pelosato, che ora lavora nell’ambasciata di Italia a Panama – vivere in Venezuela era diventato pericoloso: il regime di Chavez aveva dato mano libera alla criminalità e carta bianca ai cosiddetti squadroni della morte per mettere a tacere oppositori e dissidenti. Uscire in strada era troppo pericoloso. Rischiare di vedere uccisi i propri figli per un cellulare o un orologio era inaccettabile”. Fino ad allora il regime aveva mantenuto il potere “attraverso brogli elettorali e rendendo impossibile il voto ai venezuelani all’estero, in larghissima maggioranza oppositori del regime”. Lo stesso con Nicolás Maduro uscito vincitore dalle urne nel 2013, nel primo voto post-Chavez. “Abbiamo cercato in tutti i modi di votare dall’estero – dice la donna – ma non è stato possibile”. Da quel momento è stata una continua caduta nel vuoto.
Contatti continui. Gabriella parla mentre al cellulare giungono gli ultimi aggiornamenti dal Venezuela. I suoi familiari rimasti lì inviano foto e video delle manifestazioni in corso nella sua città natale, Maracay. Come può un Paese ricco di risorse naturali come il Venezuela ridursi così?
La causa, dice senza mezzi termini, “è da ricercare nelle corrotte e scellerate scelte politiche ed economiche del regime, non ultima quella di ‘regalare’ il petrolio, di cui il Venezuela è ricco, a Paesi amici del regime come Cuba.
Oggi siamo arrivati a un Pil in caduta libera e un’inflazione all’800%. Di soldi non ce ne sono in giro e la sofferenza punge sempre di più i poveri, coloro che non possono permettersi di acquistare al mercato nero. La maggior parte dei bambini venezuelani è denutrita muoiono letteralmente di fame. Il tasso di mortalità infantile è altissimo. Non c’è niente nemmeno negli ospedali privati. La scorsa settimana – rivela la donna – un medico si è ucciso perché stanco di vedere morire i suoi piccoli pazienti non avendo medicine da somministrare”.
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photosmash_disabled-button mejs-playpause-button mejs-play”>Verso una guerra civile. L’esula venezuelana non esita a parlare di “possibile guerra civile. Se ciò accadesse per il Paese sarebbe la fine. Maracay, mio paese natale è sceso praticamente in piazza, nonostante sia circondato da basi militari, e questo ci dice il grado di insoddisfazione della popolazione”. Ma ciò che è più grave è che
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