Succede, inesorabilmente, tutte le volte. Il pomeriggio in cui si comincia a imballare il materiale, oppure si accompagna il cardinale presidente all’aeroporto, ha un sapore di liberazione (perché si è portato fino in fondo un lavoro) e nello stesso istante si spalanca un vuoto che durerà per qualche tempo.
Prima di scrivere queste righe (in ritardo e me ne scuso, ma qui sono quasi le 19 e la sveglia stamattina è suonata alle 3.40 ed è stata una giornata pienissima), mi sono affacciato a vedere il tramonto su Panama: dal settimo piano; lascio immaginare lo spettacolo.
Il sole dietro i grattacieli, il traffico che sembra rianimarsi (dopo giorni di calma per la “fuga” di molti panamensi dalla città) e all’orizzonte le luci delle navi sul mare. Alcune sembrano davvero grandi: forse aspettano domattina per imboccare il Canale e passare sull’Atlantico. Pensavo che abitare una città per un paio di settimane è già sufficiente per cominciare ad amarla e a riconoscerla come casa propria: ora ci orientiamo e possiamo attraversarla con maggiore fiducia. Appena qualche giorno fa mi sembrava davvero brutta; ora mi appare decisamente più aggraziata.
In questi giorni tutti noi siamo stati migranti-pellegrini e istintivamente tutti, in pochi istanti, iniziamo a comportarci da “padroni” dimenticando in fretta di essere ospiti.
Non abbiamo avuto problemi particolarmente gravi, ma non è vero che la buona educazione sia tutta “nostra”. I ragazzi, nell’insieme, sono stati davvero bravi: pazienti e sereni quanto basta; per il resto hanno saputo farsi sentire. C’è un’umanità bella, in loro: incontrarla è sempre un dono e una gioia.
Vorrei spendere una parola per i quindici vescovi (in testa il cardinale Bassetti) che sono stati con noi. Non sono venuti qui in vacanza: anche se hanno dormito in albergo, hanno passato moltissimo tempo con i loro ragazzi, li hanno (a volte) persino inseguiti e raggiunti. Certe sere ho visto qualcuno di loro rientrare con la camicia fuori dai pantaloni, sudato e arrossato dal sole dell’equatore e disfatto dalla fatica. Ma felice di aver potuto condividere del tempo con i giovani.
Non ho mai sentito applausi così calorosi per ringraziarli, insieme ai loro preti.
In tempi in cui quelli che si sentono più cattolici degli altri non fanno che dirne male, i ragazzi hanno saputo offrire loro una carezza affettuosa e – credo – un po’ di incoraggiamento.
Casa Italia domani chiuderà offrendo all’arcivescovo di Panama i doni dell’Italia alla diocesi che ci ha ospitato: la statua della Madonna di Loreto e il Crocifisso di San Damiano. Un grazie davvero grande, va speso per il personale della Segreteria generale della Cei che ha fatto di nuovo casa per gli italiani e alle persone che hanno offerto il proprio servizio volontario. Torniamo a Roma; ci attende il cammino quotidiano e, laggiù, nel ‘22, Lisbona e il Portogallo.