Giovanni M. Capetta
Il Papa è perentorio, le chiama “due falsificazioni della santità”, sono le antiche e ancora vive eresie dello gnosticismo e del pelagianesimo.
Cerchiamo di andare al di là del nome e capire in che consistono queste “due forme di sicurezza dottrinale o disciplinare” per cui “invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare” (GE 35).
Lo gnosticismo si riduce ad una serie di ragionamenti e conoscenze in cui il soggetto crede di trovare illuminazione e conforto ma in realtà si chiude alla dimensione trascendente, al mistero dell’incontro con il Signore. Anche gli gnostici attuali è come se preferissero un Dio senza incarnazione e giudicassero gli altri sulla base della loro comprensione delle dottrine invece che sull’amore. Non bisogna farsi irretire dal fascino ingannevole di un ordine apparente che pare inglobare tutto. Questo avvertimento del Papa fa pensare a quelle dialettiche nelle coppie per cui uno cerca di mettere sempre tutto in ordine perfetto e l’altro non riesce a rispettare questo rigore. Uno vorrebbe dare più spazio alla fantasia dell’incontro e l’altro si affida esclusivamente alle dichiarazioni di intenti programmatiche espresse con largo anticipo.
Troppo semplice sarebbe tacciare come gnostici i coniugi più propensi alla razionalità, eppure c’è da mettersi in guardia quanto all’uso della ragione, in ambito spirituale: una cosa è riflettere umilmente sull’insegnamento del Vangelo, “altra cosa è pretendere di ridurre l’insegnamento di Gesù ad una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto” (GE 39).
Lo gnosticismo “per sua propria natura vuole addomesticare il mistero” (GE 40) ma così facendo rischia di voler determinare Dio, che invece sempre ci supera infinitamente. Non siamo noi a decidere quando e dove Lui si faccia incontrare e tanto meno possiamo permetterci di stabilire in quali persone esso sia presente e quali no. Ecco il grande pericolo che discende dall’affidarsi troppo superbamente alla conoscenza delle dottrine. Avere la presunzione di definire dall’esterno i “giusti” e gli “ingiusti”. Invece, “se ci lasciamo guidare dallo Spirito più che dai nostri ragionamenti, possiamo e dobbiamo cercare il Signore in ogni vita umana” (GE 42). Quanto siamo capaci di una condotta di vita senza giudicare gli altri? Riusciamo a dare il beneficio di inventario a tutti e siamo disposti a trasmettere questo atteggiamento ai figli che spesso, crescendo, rischiano come tutti di dividere gli altri in buoni e cattivi? Consapevoli che la fede non è una conquista acquisita una volta per tutte, ma un cammino fatto anche di domande e dubbi e crescita progressiva quanto siamo pronti a metterci in ascolto dell’altro senza considerarci già arrivati, ma bisognosi del confronto e del dialogo reciproco per progredire insieme nell’accoglienza del Mistero? Lasciamoci stupire da Dio perché il suo stile di gratuità assoluta ispiri il nostro nel rivolgerci ai fratelli.