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Crisi in Venezuela. P. Infante (Centro Gumilla): “Governo di transizione e nuove elezioni sono l’unica strada”

Bruno Desidera

Sono ore decisive per il futuro del Venezuela. Il potere di Nicolás Maduro è sempre più fragile, ogni ipotesi è aperta, dopo l’oceanica manifestazione di sabato, che in tutto il Paese ha abbondantemente superato la già enorme partecipazione del 23 gennaio. Ma proprio ora, nel momento in cui Maduro non era mai stato così debole, l’unica via d’uscita per il Paese appare quella pacifica, come hanno chiesto Papa Francesco e la Conferenza episcopale. Lo afferma, con forza, una voce molto ascoltata, padre Alfredo Infante, gesuita e direttore della rivista “Sic” del Centro Gumilla, che fin dal 1968 rappresenta la realtà di studio e azione sociale della Compagnia di Gesù in Venezuela: “Una soluzione pacifica e negoziata, che porti a un Governo di transizione e a nuove elezioni, è l’unica strada”.

“Superato” il 23 gennaio. Padre Infante è molto colpito da due elementi della manifestazione di sabato: “Una cosa sorprendente, si è detto che la mobilitazione del 23 gennaio era stata la più grande nella storia del Paese, ma quella di sabato ha avuto una partecipazione di gran lunga maggiore, sia per il numero di partecipanti che per le città coinvolte. E tutto questo nonostante il clima di terrore propagato il 23 gennaio dalle forze di Polizia speciale, con la loro repressione. Al contrario, la manifestazione pro Maduro è stata un fallimento, nella avenida Bolívar di Caracas, con gente fatta arrivare in autobus da tutto il Paese”. Tutto questo significa, secondo il direttore della rivista, che

“la gente ha preso coraggio e che la società – a me non piace chiamare opposizione questo movimento – con la sua mobilitazione sta pienamente legittimando, con la sua forza, la via d’uscita pacifica ed elettorale, aggiungendo questa forza alla legittimità che deriva dalla Costituzione”.

Il secondo elemento che ha sorpreso padre Infante è la “totale mancanza di repressione nella manifestazione di sabato scorso”. Nel web sono apparsi video di poliziotti che fraternizzano con i manifestanti, e questo significa che “sta cambiando l’atteggiamento della Polizia e della Guardia Nazionale”.

Intervento militare sarebbe catastrofico. Cosa succederà ora? Resta in campo l’ipotesi di un intervento militare guidato dagli Stati Uniti, per dare la spallata finale a Maduro. Prospettiva, questa, molto preoccupante: “Ogni intervento armato è un’incognita. In questo caso, il rischio concreto sarebbe quello di passare da un’emergenza umanitaria a una catastrofe umanitaria. Inoltre, il Venezuela è un Paese nel quale la popolazione vive in prevalenza nelle città.

Si rischierebbe una guerra civile prolungata che avrebbe il suo epicentro non nella selva, come è accaduto in Colombia, ma in un contesto urbano.

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Ancora, aumenterebbe l’emigrazione. L’unica soluzione è pacifica, negoziata, per andare a nuove elezioni e garantire quella governabilità di cui il Paese ha urgente bisogno”. Sono pienamente legittime, dunque, “le preoccupazioni espresse da Papa Francesco che ci possa essere un drammatico spargimento di sangue”. Resta chiaro, tuttavia, che “questa soluzione non può che prevedere un Governo di transizione e l’uscita di scena di Maduro”.

Negli aiuti centrale il ruolo della Chiesa. La governabilità è centrale anche per riattivare gli aiuti umanitari. Trump ha già annunciato l’invio di aiuti da parte degli Usa e l’apertura di un centro di distribuzione a Cúcuta. Un intervento che, in realtà, si aggiungerebbe al grandissimo lavoro fatto dalla Chiesa, sia in Venezuela che in Colombia e soprattutto nella città di frontiera. “Sia chiaro – prosegue Infante – in questa situazione ogni aiuto, soprattutto cibo e medicinali, è ben accetto”. Tuttavia. “gli aiuti devono essere pianificati, organizzati da realtà e persone esperte, serve una struttura ben ramificata, in un Paese dove le istituzioni pubbliche sono assenti. Ed è la Chiesa che, fin dall’inizio, ha dato una risposta all’emergenza in ogni angolo del Paese. Al tempo stesso, per un’efficace azione di aiuti, nella situazione in cui siamo, serve anche la collaborazione dello Stato, che oggi non c’è”. Non a caso venerdì scorso il presidente autoproclamato ad interim, Juan Guaidó, ha voluto incontrare la Conferenza episcopale venezuelana, proprio per affrontare questa problematica, Prosegue il direttore della rivista Sic: “Bisogna, insomma, distinguere tra aiuti umanitari, attenzione umanitaria e azione umanitaria. I secondi due punti chiedono organicità nelle risposte e un’azione integrale”.

Speranza, incertezza e terrore. Padre Infante prosegue esprimendo una forte critica sia alle forze di sinistra che, anche in Europa e in Italia, difendono Maduro, sia a settori della “teologia della liberazione” che fanno altrettanto: “Io mi considero un uomo di sinistra, non sto parlando da un ufficio lussuoso, ma da una canonica della zona popolare, nel sudest di Caracas. Sono una persona di strada e vedo la fame e la sofferenza del popolo.

Qui non è questione di destra o di sinistra, ma di un Governo che ha voltato le spalle al popolo, che è aggrappato al suo potere con ogni stratagemma, che viola i diritti umani.

Gli uomini di sinistra che difendono Maduro sono dei sognatori che non conoscono questa realtà e mi fa tanta tristezza quando sento qualche teologo parlare senza conoscere le cose”. Difficile, dunque fare delle previsioni a breve termine: “Percepisco tre sentimenti, che pure sono contrastanti: speranza, incertezza e terrore. La gente percepisce per la prima volta la concreta possibilità di cambiamento, però sappiamo anche che la resistenza di questo Governo non ha limiti. Ma, ne sono convinto, una soluzione c’è se continua questa pressione pacifica”.