Il Papa e il Grande Imam che entrano insieme mano nella mano e, dopo i rispettivi discorsi, firmano un Documento comune sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, benedicendo – sempre insieme, come in tutte le tappe del viaggio – la prima pietra di una chiesa e una moschea che sorgeranno l’una accanto all’altra. È l’istantanea, già consegnata alla storia, del primo viaggio di un Pontefice nella penisola arabica. Ottocento anni dopo l’incontro con il Sultano, il primo Papa della storia ad aver scelto di portare il nome di Francesco fa soffiare ancora una volta quello che Giovanni Paolo II, proclamato santo proprio da Bergoglio, aveva definito nel 1986 lo “spirito di Assisi”. Dagli Emirati Arabi Uniti, meta del suo 27° viaggio apostolico, Papa Francesco – “come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli” – lancia un messaggio di dialogo, pace e riconciliazione che ha una parola d’ordine ben precisa: “Fratellanza”. Come quella testimoniata dal popolo di migranti ai quali ha reso omaggio, nella prima Messa celebrata all’aperto nella penisola arabica, consegnando loro le beatitudini, che non sono per supereroi ma aiutano a tenere il cuore, e il mondo, pulito.
“Anche noi oggi, nel nome di Dio, per salvaguardare la pace, abbiamo bisogno di entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo: l’arca della fratellanza”.
Comincia con questa immagine il discorso del Papa al Founder’s Memorial, davanti a 700 leader di diverse Confessioni religiose.
“Non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata”,
afferma Francesco mettendo in guardia dal profanare il nome di Dio utilizzandolo per giustificare l’odio e la violenza.
“Impegnarci per la dignità di tutti, per evitare che la libertà religiosa sia minacciata”,
l’appello per fronteggiare l’estremismo e l’odio e declinare una delle parole che caratterizzano gli Emirati Arabi Uniti: la tolleranza, tema scelto per il 2019. Su tutto, un invito alla coerenza:
“Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli. Non si può proclamare la fratellanza e poi agire in senso opposto”.
Il “coraggio dell’alterità” è l’anima del dialogo:
“Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro”.
“Costruire ponti fra i popoli e le culture”; è il compito urgente a cui le religioni non possono rinunciare. Sì alla preghiera, no all’indifferenza, che “non guarda al domani; non bada al futuro del creato, non ha cura della dignità del forestiero e dell’avvenire dei bambini”.
Le religioni non incitano alla violenza e al terrorismo, ma s’impegnano per la dignità di tutti, per la riconciliazione e per “smilitarizzare il cuore dell’uomo”, sintetizza Francesco. “Rispetto, tolleranza, convivenza fraterna, sviluppo umano”, sono gli ingredienti per promuovere una cultura della pace, che comporta la necessità di investire sui giovani, per formare “identità aperte” che non si lascino ingannare da messaggi negativi e fake news.
“Una convivenza fraterna, fondata sull’educazione e sulla giustizia; uno sviluppo umano, edificato sull’inclusione accogliente e sui diritti di tutti”:
questi, per il Papa, “sono semi di pace, che le religioni sono chiamate a far germogliare. Ad esse, forse come mai in passato, spetta, in questo delicato frangente storico, un compito non più rimandabile: contribuire attivamente a smilitarizzare il cuore dell’uomo”.
“La fratellanza umana esige da noi, rappresentanti delle religioni, il dovere di bandire ogni sfumatura di approvazione dalla parola guerra”,
l’appello ai leader religiosi presenti, ai quali Francesco sottopone la drammatica situazione in cui versano lo Yemen, la Siria, l’Iraq e la Libia: “Insieme, fratelli nell’unica famiglia umana voluta da Dio, impegniamoci contro la logica della potenza armata, contro la monetizzazione delle relazioni, l’armamento dei confini, l’innalzamento dei muri, l’imbavagliamento dei poveri”.
“Qui, nel deserto, si è aperta una vita di sviluppo feconda che, a partire dal lavoro, offre speranze a molte persone di vari popoli, culture e credo”,
dice Francesco tracciando un ritratto degli Emirati Arabi Uniti come popolo di migranti, soprattutto filippini e asiatici, giunti in questa terra per trovare mezzi di sussistenza. Ed è a questo popolo – rappresentato nella Messa allo Zayed Sports City da 135mila fedeli cattolici di oltre 200 nazionalità diverse, cui si sono uniti 4mila musulmani – che il Papa ha reso omaggio:
“Siete un coro che comprende una varietà di nazioni, lingue e riti. Questa gioiosa polifonia della fede è una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa”.
E ancora, rivolgendosi ai cattolici, in gran parte filippini e asiatici, pari al 10% della popolazione: “Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro”. La consegna: adottare lo stile della beatitudini, che “non sono per superuomini, ma per chi affronta le sfide e le prove di ogni giorno”. “Non richiedono gesti eclatanti” ma aiutano a “tenere pulito il cuore”: “Chi le vive secondo Gesù rende pulito il mondo”.
“Le vostre comunità siano oasi di pace”, il congedo di Francesco: “Il cristiano promuove la pace, a cominciare dalla comunità in cui vive”.
Tra le comunità a cui Gesù si rivolge, nel libro dell’Apocalisse, c’è quella di Filadelfia, che per il Papa assomiglia al piccolo, ma polifonico gregge, degli Emirati Arabi Uniti, capace di andare avanti e di perseverare, pur nelle difficoltà. Il segreto? “L’amore fraterno”, come recita il nome stesso della città. Per quel tipo di fraternità, “non ci sono cristiani di prima e di seconda classe”.