“Offrire soluzioni concrete e reali” per vincere “la battaglia contro la fame e la povertà”, partendo dal “protagonismo” dei popoli indigeni e da un “meticciato culturale” in cui non esistono popoli di prima e di seconda classe. È l’appello del Papa, nel discorso, pronunciato in spagnolo, al Consiglio dei Governatori del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad). Nella sua terza visita alla sede della Fao – dopo quella del 20 novembre 2014 e del 16 ottobre 2017, cui va aggiunta la visita al Programma alimentare mondiale del 13 giugno 2016 – Francesco ha esordito citando “i bisogni e le necessità della moltitudine di nostri fratelli che soffrono nel mondo”, i quali “vivono situazioni precarie”: “L’aria è inquinata, le risorse naturali impoverite, i fiumi contaminati, i suoli acidificati; non hanno acqua sufficiente per loro stessi e per le loro coltivazioni; le loro strutture sanitarie sono molto carenti, i loro alloggi sono scarsi e difettosi”.
“Queste realtà si prolungano nel tempo quando, dall’altra parte, la nostra società ha compiuto grandi progressi in tutti i campi del sapere”, la denuncia del Papa, secondo il quale “siamo di fronte ad una società che è capace di progredire nei suoi propositi di bene, e vincerà anche la battaglia contro la fame e la povertà, se solo lo vorrà seriamente”. Solo così, infatti, si potrà un giorno ascoltare la frase, non come uno slogan ma come una verità: “La fame non ha presente né futuro. Solo passato’”.
Per realizzare questo obiettivo, secondo Francesco, “è necessario l’aiuto della comunità internazionale, della società civile e di quanti possiedono risorse”. La Santa Sede, da parte sua, ha sempre “sostenuto gli sforzi messi in campo dalle agenzie internazionale per fronteggiare la povertà”, ha ricordato il Papa, che sul Libro d’onore ha posto questa dedica, in spagnolo: “Con i miei auspici migliori e con la mia preghiera affinché continuiate, con il coraggio che vi caratterizza, nel vostro lavoro in favore delle zone rurali. Che Dio vi benedica”.
È “paradossale” che buona parte degli oltre 820 milioni di persone che soffrono la fame e la malnutrizione nel mondo vivano in zone rurali.
Denunciando questo dato, Francesco ha esortato a promuovere tale tipo di sviluppo, che coincide con i primi due obiettivi dell’Agenda 2030 della comunità internazionale. “Si tratta di fare in modo che ciascuna persona e ciascuna comunità possa dispiegare le sue proprie capacità in modo pieno, vivendo una vita umana degna di tale nome”, ha spiegato il Papa, lanciando un appello a “quanti hanno responsabilità negli Stati e negli organismi internazionali, ma anche a chiunque possa contribuire al settore pubblico e privato, a sviluppare i canali necessari affinché si possano implementare i mezzi adeguati nelle regioni rurali della terra, in modo che siano artefici responsabili della loro produzione e del progresso”.
Incentivare “una scienza con coscienza” e “porre la tecnologia realmente al servizio dei poveri”, l’appello finale del suo discorso.
“La terra non è fatta unicamente per sfruttarla senza alcun riguardo, per interessi esclusivamente economici o finanziari”, ha affermato Francesco rendendo omaggio ai popoli indigeni. “I poveri non possono continuare a patire ingiustizie e i giovani hanno diritto a un mondo migliore del nostro, e aspettano da noi risposte conseguenti e convincenti”, ha sottolineato il Papa esortando ancora una volta, sulla scia della Laudato si’, alla salvaguardia comune del creato e a dirigere nuovamente lo sguardo al nostro pianeta, “ferito in molte regioni per l’avidità umana, per i conflitti bellici che generano una scia di mali e di disgrazie, così come dalle catastrofi naturali che causano, a loro volta, povertà e devastazione”.
“Non possiamo continuare ad ignorare questi flagelli – l’appello – rispondendo ad essi con l’indifferenza o la mancanza di solidarietà o rimandando le misure per fronteggiarli adeguatamente”.
L’antidoto sono la fraternità e la vigilanza sul pianeta, di cui l’uomo è custode e non proprietario, “affinché non si perda la biodiversità, l’acqua possa continuare ad essere sana e cristallina, l’acqua pura, i boschi frondosi e il suolo fertile”. Anche se determinate decisioni prese finora l’hanno rovinata, “non è mai troppo tardi per apprendere la lezione e adottare un uovo stile di vita”, l’invito di Francesco, per “superare l’individualismo atroce, il consumismo convulso e il freddo egoismo”.
“La terra soffre e i popoli originari conoscono il dialogo con la terra, sanno ascoltare la terra, vedere la terra, toccare la terra”, ha aggiunto il Papa a braccio esortando ad imparare da loro per fuggire la tentazione di “una sorta di illusione progressista” a proposito della terra. “Dio perdona sempre, gli uomini perdonano qualche volta, la natura non perdona mai”, ha ribadito Francesco citando un proverbio popolare: “Lo stiamo sperimentando, a causa dell’abuso e dello sfruttamento”.
Altro pericolo del nostro immaginario collettivo è quello di chiamare i popoli cosiddetti civilizzati “di prima” e i popoli cosiddetti originari o indigeni “di seconda” classe.
“È il grande errore di un progresso sradicato, disancorato dalla terra”, la denuncia del Papa, secondo il quale
“oggi è urgente un meticciato culturale
in cui la saggezza dei popoli originari possa dialogare allo stesso livello con la saggezza dei popoli più sviluppati”. Oggi, invece, “pochi hanno troppo e troppi hanno poco, molti non hanno cibo e vanno alla deriva, mentre pochi annegano nel superfluo”, ha detto Francesco salutando il personale dell’Ifad al termine dell’incontro: “Questa perversa corrente di disuguaglianza è disastrosa per il futuro dell’umanità”.
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