Sarah Numico
Tra il 2011 e il 2018 sono state 3.712 le vittime di abusi sessuali nei Paesi Bassi che hanno deciso di farsi avanti e raccontare la propria storia di sofferenza. 2.060 di loro hanno sporto denuncia. Otre 27 milioni di euro i risarcimenti pagati. La Conferenza episcopale e la Conferenza degli Ordini religiosi hanno lavorato insieme in questi anni per fare luce sul passato ed evitare che si ripeta in futuro, con procedure e strutture ben definite e indipendenti. Il vescovo di Rotterdam, mons. Hans van den Hende, presente all’incontro in Vaticano in qualità di presidente della conferenza episcopale olandese, spiega al Sir come funziona il modello olandese.
Che cosa si aspetta da questo incontro?
Negli anni abbiamo avuto molti messaggi e notizie sugli eventi a livello nazionale, ma affrontare il problema degli abusi a livello di Chiesa mondiale è molto importante e questa è la prima volta che avviene. Mi aspetto si risponda anche con passi concreti. Dal programma si capisce anche che il Papa vuole che preghiamo insieme: la relazione con Dio è molto coinvolta in questo argomento così pesante e dobbiamo chiedere perdono. Mi attendo anche che ci sia la possibilità di condividere i risultati che noi abbiamo raggiunto con i confratelli vescovi nei gruppi.
Il Papa ha consigliato di sgonfiare le attese, ma l’attenzione mediatica è molto alta…
Le persone si aspettano che noi ascoltiamo le vittime e in tutto il mondo in questi giorni i sopravvissuti saranno ascoltati e riconosciuti; si aspettano che siamo in grado di affrontare il problema. Nel nostro Paese è stato Wim Deetman, già portavoce della Camera bassa, su richiesta dei vescovi e della conferenza dei religiosi, a condurre una indagine indipendente molto importante, sulla cui base egli ha identificato
tre elementi implicati nel rischio di abuso: ruoli di potere, situazioni di dipendenza da persone di potere, isolamento che ha fatto sì che le persone non abbiano potuto parlare del loro vissuto.
Capire questi tre elementi è stato importante per noi e penso valgano per tutta la Chiesa per capire perché gli abusi si sono verificati così tante volte.
Ciò che avete fatto in Olanda in questi anni è servito per risolvere il problema?
Nel 2010 notizie sugli abusi hanno cominciato a crescere. Altri Paesi conoscevano già situazioni simili, ma nel nostro Paese era una realtà nuova e anche come vescovo io non ero consapevole di questo grande problema. Così vescovi e religiosi insieme abbiamo deciso di condurre questa indagine che ha messo in luce si trattava di una realtà nella Chiesa dadecenni e che era importante dare una possibilità alle persone di raccontare le loro storie, essere ascoltati e avere anche un risarcimento in termini economici. Io penso che per certi aspetti sia stato un buon risultato: abbiamo la consapevolezza del problema, conosciamo i fattori di rischio e siamo stati in grado di ascoltare le persone coinvolte negli abusi.
Servirà a impedire che avvenga mai più?
Le situazioni in cui si sono verificati gli abusi nel passato non esistono più: non abbiamo più orfanotrofi, grandi collegi, ma naturalmente nelle parrocchie abusi potrebbero avvenire ancora ed è per questo che abbiamo messo in piedi un sistema di prevenzione. Esiste un codice di comportamento pastorale nazionale riconosciuto dai vescovi e dalle istituzioni dei religiosi, che si applica anche ai laici coinvolti in qualsiasi attività della parrocchia, dalla catechesi all’amministrazione.
Chiunque cominci ad avere un qualsiasi incarico nella Chiesa deve anche avere un certificato dell’autorità statale che dichiari non esserci nella sua storia elementi compromettenti.
Per chi arriva da altre diocesi, o congregazioni o Paesi, prima di cominciare a lavorare, deve portare una dichiarazione del proprio vescovo o superiore che certifichi l’assenza di rischi. Infine abbiamo avviato un nuovo “Centro di segnalazione per i casi di abuso”, poiché la “piattaforma di sostegno alle vittime”, il “comitato per le denunce” e il “comitato per i risarcimenti” istituiti nel 2011 avevano lavorato sui casi del passato e avevano terminato il lavoro. Questi sono i quattro pilastri del nostro sistema di prevenzione.
Nessun nuovo caso negli ultimi cinque anni?
Al momento possiamo dire che non ci sono state denunce di abusi sui minori.
E che succede in questi casi?
Le persone si rivolgono al centro, che informa il vescovo o il superiore e poi si avvia la procedura. Il vescovo la accompagna, ma non la guida, perché gestita da questo Centro indipendente. Quando arrivano le conclusioni, è il vescovo che deve agire di conseguenza. In caso di abuso di minori, che è un crimine, il procedimento viene trasmesso alle autorità giudiziarie, senza possibilità di deroga.
Ha incontrato le vittime prima di venire qui?
Non in queste ultime settimane, ma negli anni, ogni volta che un caso della mia diocesi è stato presentato al Comitato indipendente io ho partecipato a numerose sessioni con le vittime. Èsuccesso più di venti volte. Ho incontrato anche vittime che volevano raccontare la loro storiasenza avviare un procedimento e sono stato coinvolto anche nella “Commissione di contatto”per aiutare le vittime quando per qualche motivo il loro procedimento si incagliava.
Ho incontrato persone che hanno più o meno la mia età: ho 55 anni e la maggioranza dei casi diabusi sono avvenuti nel passato.
Questo ha reso per alcuni possibile parlare in modo diverso più personale, perché rappresentavo non il passato ma il presente della Chiesa.
Come l’hanno cambiata questi incontri?
Non avevo idea dell’esistenza degli abusi e delle dimensioni del problema, ora ne sono consapevole e mi è chiaro che devo fare in modo che la prevenzione avvenga ad ogni costo e sempre al meglio possibile. Ho vissuto anche grande vergogna perché questa terribile ingiustizia è l’esatto contrario di ciò che dice il Vangelo. È stata una grande delusione vedere che c’è chi proclama il Vangelo ma fa l’opposto.
Per la Chiesa è una grande umiliazione?
Certo, la Chiesa è ferita, ma sono soprattutto le persone ad essere state ferite. La reazione deve essere la compassione senza considerare i propri sentimenti e la propria immagine. La perdita di fiducia in se stessi, il dolore e anche la perdita della fede delle vittime sono le cose che devono essere al centro. I miei sentimenti devono essere la compassione, la prontezza a riconoscere e la volontà di lavorare per la prevenzione.
Che cosa ci insegnano queste vicende riguardo la formazione dei sacerdoti?
Dal punto di vista scientifico non c’è legame diretto tra il celibato e gli abusi: avvengono anche in molte famiglie.
Il punto è la maturità personale e la scelta consapevole.
E per i giovani che si preparano al sacerdozio così come alla vita consacrata è importante che il percorso di formazione cominci con la formazione della persona.
Quanto lo scandalo degli abusi ha pesato sull’appartenenza dei fedeli alla Chiesa in Olanda?
L’Olanda è una società secolarizzata. Il 51% della popolazione non ha alcuna appartenenza religiosa e la fede è sotto pressione. Il rapporto sugli abusi può aver confermato le persone a non diventare religiose. I numeri di chi lascia la Chiesa non sono chiari in relazione agli scandali, se si considera comunque che tra la popolazione cattolica (24% della popolazione) il 5-6% va a Messa la domenica e meno del 40% dei fedeli sostiene economicamente la Chiesa (in Olanda non esiste un sistema organizzato come in Italia, ma solo contributi volontari).
Come si guarisce la fede delle persone abusate?
È difficile. Le persone che ho incontrato per la maggior parte non credevano più, anche perché le storie di abuso risalivano a molti anni prima. Io come vescovo e Chiesa posso fare solo tutto il possibile per rispondere alle denunce, per risolvere il problema ma non ho alcuna possibilità di guidare il perdono, il recupero della fede e dell’integrità personale, decisioni che sono nelle mani delle persone ferite.
Il modello olandese è stato copiato?
Al momento non ne sono a conoscenza. Forse dopo questo incontro. Ma non voglio essere troppo orgoglioso dei nostri risultati, il punto è la compassione e aiutare le persone nel miglior modo possibile perché recuperino fiducia, fede, senso di comunità. La cosa unica di questo modello è che i vescovi e la conferenza dei religiosi hanno lavorato insieme, dall’inizio al completamento del processo, cosa che non vedo in altri Paesi. Volevamo si sentisse la condivisione della responsabilità nel rispondere. Non è una questione di avere esperienza in una diocesi o una congregazione e non in un’altra. Nel nostro piccolo Paese, abbiamo gli stessi procedimenti, la stessa determinazione per affrontare la questione.