Quando viene chiesto ai giovani di indicare quali siano per loro i valori più importanti, i risultati mostrano costantemente tra i primi posti famiglia e lavoro. I due valori quando si cerca l’indipendenza e l’autonomia della fase adulta della vita entrano in competizione e, in una società fortemente individualista che punta al successo attraverso la realizzazione professionale, è facile che sia il lavoro ad avere la meglio.
Conciliare la famiglia e il lavoro diventa una chimera: lavoro precario, part-time con cattiva reputazione, redditi di ingresso medio bassi, orari confusi portano le persone a faticare per capire come impostare il resto della vita. È difficile prevedere una vita di coppia e ancora più difficile diventare genitori. Molti finiscono per non impostarla, rimandando a tempi migliori, molto probabilmente. Questo è uno dei temi che più hanno inciso e incidono sempre di più sul crollo della natalità.
Certo i dati sulle possibilità di bilanciare la vita familiare con quella lavorativa non sono incoraggianti e affermano che la nascita di un figlio carica la responsabilità tutta sulle spalle delle donne. I recenti dati dell’ispettorato sul lavoro rilevano infatti che su oltre 39mila dimissioni volontarie più di 30mila sono di madri lavoratrici che si ritirano dal lavoro. Come si osserva in un articolo di Elena Barazzetta, pubblicato su “Secondo Welfare”, il 60% dei ritiri coinvolge genitori al primo figlio e un altro 33% al secondo figlio. Oggi di fronte a questi risultati una donna che aspirasse a coltivare la sua legittima crescita professionale si troverebbe a escludere dal suo orizzonte la scelta di fare famiglia.
Se l’Italia volesse invertire la rotta dei flussi di natalità dovrebbe dare più spazio ai papà. In Svezia la rotta l’hanno invertita con una serie di politiche che hanno portato entrambi i genitori a poter usufruire di un congedo di tre mesi per i figli e questo favorisce l’occupazione femminile, meno colpita dal giudizio negativo sulla maternità.
In questo modo potrebbero essere meglio ripartiti i carichi di cura tra mamme e papà e sarebbe sicuramente un passo in avanti per la conciliazione tra vita e lavoro. Questa consapevolezza, purtroppo, non è entrata negli orizzonti delle scelte politiche, che invece si muovono su una linea differente, come è capitato con la recente legge di bilancio che favorisce la sperimentazione dello smartworking (l’applicazione di un orario flessibile) nelle aziende soprattutto sulle lavoratrici. Non si comprende invece come il valore famiglia non sia appannaggio esclusivamente femminile e tanto meno il valore lavoro appannaggio maschile.
Proseguendo così non solo sarà sempre più lontana la conciliazione tra famiglia e lavoro, ma sarà più ostica la conciliazione nella famiglia.