Vicino ai pigmei nel piccolo villaggio di Nduye, nel cuore della foresta dell’Ituri nella Repubblica democratica del Congo (Ex Zaire), sulle orme di padre Bernardo Longo, martire nel Paese africano.
È il modo di vivere il Vangelo di padre Silvano Ruaro, 80 anni, missionario Dehoniano, nato a Monte Magrè di Schio, in provincia di Vicenza, che scese per la prima volta in Congo 49 anni fa, il 6 febbraio 1970. “Essere sacerdote in Italia mi sembrava troppo facile – racconta –. Scelsi il Congo per completare l’opera di padre Longo nella formazione dei giovani congolesi”.
Negli anni padre Silvano a Mambasa ha aperto l’istituto superiore “Bernardo Longo” che oggi ospita 800 ragazzi: un’offerta formativa completa, dal liceo scientifico alla muratura, passando per meccanica e informatica, più il taglio e cucito per le ragazze. Il missionario nel 2013 ha passato il testimone ad un confratello congolese e si è ritirato nel villaggio di Nduye. Per dedicarsi, appunto, ai pigmei.
“Sono una popolazione di cacciatori-raccoglitori cresciuta sentendosi diversa, inferiore, non all’altezza degli altri uomini” spiega il missionario che si prende cura, soprattutto dei bambini.
“Oggi il nostro convitto (inaugurato a novembre 2017) ospita 105 piccoli pigmei, tutti maschi, raddoppiati rispetto allo scorso anno scolastico – racconta –. La mattina frequentano le due scuole elementari cattoliche della missione. Alcuni sono arrivati al convitto percorrendo a piedi oltre 70 chilometri”. Il padre, con l’aiuto di amici e benefattori, ha sistemato dei vecchi edifici e messo in piedi una struttura confortevole con dormitorio, refettorio, lavandini, docce e sala giochi. “Pensiamo a tutto noi- dice –. Il mio scopo è la loro formazione umana e sociale, che si ispira ai valori cristiani. Alle 7.15 del mattino vanno a scuola in fila, cantando. Nel pomeriggio a giorni alterni si dedicano al lavoro manuale agricolo, allo sport, sotto la guida di alcuni insegnanti volontari. Hanno anche qualche momento di contatto con il Vangelo e l’insegnamento di Gesù, occupandosi di alcuni poveri del villaggio, portando loro il cibo, pulendo le capanne e procurando legna e acqua. La domenica sono invitati a messa senza forzature , rispettando la loro libertà”.
I padri dehoniani sono sostenuti e guidati da una buona équipe di animatori, cuoche e signore che si occupano delle pulizie, tutti africani, affiancati da una comunità di Suore comboniane, le Serve di Gesù, che li aiutano a conoscere l’indole dei piccoli ospiti e a seguirli nel migliore dei modi.
“I bambini danno molte soddisfazioni – continua padre Ruaro –. Partecipano alla pesca, alla caccia, sono veramente sereni e aperti, è una gioia guardarli. E soprattutto sono un esempio per la popolazione che ha sempre trattato i pigmei con disprezzo, guardandoli dall’alto in basso”.
È una lezione molto forte anche per i genitori. Padre Silvano ha pensato anche a loro, coinvolgendoli nel progetto “Lavorare è gioia”: “Cerchiamo di far capire agli adulti che il lavoro può dare senso alla vita togliendoli dalla mendicità, dal furto e dalla precarietà. Non basta andare nella foresta e raccogliere cose, alla rinfusa, e riprodursi. Li abbiamo avviati al lavoro agricolo e molti pigmei oggi hanno un campo da coltivare”.
Di recente il missionario ha messo in piedi un piccolo mercato coperto dove i pigmei possono vendere i propri prodotti. “In questo modo le patate dolci, la manioca, le banane, non vengono appoggiate per terra, con maggior igiene e al riparo da pioggia e polvere. Prima ero costretto a comprare gli alimenti all’esterno, ora anch’io mi rifornisco al mercato e siamo quasi autosufficienti”.
Sfamare 105 bambini non è sempre facile: “Solo di riso consumiamo 10 quintali ogni mese. Non abbiamo alcun aiuto dallo Stato, anzi. Campiamo grazie alla generosità di privati, amici, conoscenti” specifica. Nei pensieri di padre Silvano c’è anche la formazione delle bambine pigmee: “Voglio aprire un convitto gestito dalle suore. I maschi sono precoci e per una crescita serena ed equilibrata devono essere separati dalle femmine. Le sorelle vivono a circa 600 metri da noi, su un’altra collina. Distanza perfetta per collaborare”.
L’ultimo pensiero va alla sua terra natale: “Senza il sostegno degli amici di Schio e dintorni non avrei potuto fare nulla” conclude il sacerdote.