Sono un rifiuto dell’ipocrisia le parole del Vangelo di Luca di questa domenica. E forse non è un caso che questo brano anticipi la Quaresima, che inizieremo a vivere mercoledì prossimo, le ceneri. Le maschere di questi giorni di festa sono occasione per mettere in scena un’altra immagine, di vivere un po’ come un attore. Questa la radice nella lingua greca del termine ipocrita che usiamo comunemente: attore che vive un’altra vita.
Nel Vangelo troviamo Gesù che utilizza delle immagini per spiegare, a quanti lo stanno ascoltando, la differenza tra ciò che si è e ciò che appare. Rifiuto dell’ipocrisia, della falsità, dunque, e invito rivolto soprattutto a quanti sono chiamati a esercitare il potere, politici e amministratori, a educare e insegnare. La prima immagine è quella di colui che non vede: può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?
Mi piace qui ricordare che un Papa, Albino Luciani, Giovanni Paolo I, quaranta anni fa, il 13 settembre 1978, durante la sua terza udienza generale del mercoledì, recita una poesia del poeta romanesco Trilussa, della vecchietta cieca che lo prende per mano e gli dice di seguirla “fino là in fondo dove c’è un cipresso, fino là in cima dove c’è una croce”. Si trattava di una licenza poetica per parlare della fede, e Papa Luciani, pur dicendo “teologia difettosa”, la cita nella sua riflessione sulla prima delle tre virtù teologali, come a ricordarci che la cecità appartiene all’uomo. Ed è quanto Luca evidenzia nel suo testo evangelico, scrivendo le brevi parabole “con le quali – dice Papa Francesco all’Angelus – Gesù vuole indicare ai suoi discepoli la strada da percorrere per vivere con saggezza”. Ecco allora l’immagine della guida che “non può essere cieca, ma deve vedere bene, cioè deve possedere la saggezza per guidare con saggezza, altrimenti rischia di causare dei danni alle persone che a lei si affidano”. Appello, per Francesco, a chi ha “responsabilità educative o di comando: i pastori d’anime, le autorità pubbliche, i legislatori, i maestri, i genitori, esortandoli ad essere consapevoli del loro ruolo delicato e a discernere sempre la strada giusta sulla quale condurre le persone”. Così il discepolo non è più grande del maestro, e da un albero buono non può venire un frutto cattivo. Parabole, immagini per dire che non bisogna accontentarsi della realtà apparente; invito a seguire l’insegnamento del maestro, dice il Papa, “per essere guide sicure e sagge”. Insegnamento racchiuso nel discorso della montagna, che “la liturgia ci propone nel Vangelo, indicando l’atteggiamento della mitezza e della misericordia per essere persone sincere, umili e giuste”. Ancora una immagine: la pagliuzza nell’occhio dell’altro, e la trave nel nostro. “È più facile o comodo scorgere e condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Noi sempre nascondiamo i nostri difetti, li nascondiamo anche a noi stessi; invece, è facile vedere i difetti altrui”.
È l’ipocrisia che Gesù condanna: “lo diceva ai farisei, ai dottori della legge, che dicevano una cosa e facevano un’altra. Ipocrita vuol dire uno che ha un doppio pensiero, un doppio giudizio: uno lo dice apertamente, e un altro di nascosto, con il quale condanna gli altri”. Tutti abbiamo difetti, afferma nell’omelia che pronuncia, nel pomeriggio domenicale, nella parrocchia di San Crispino da Viterbo al Labaro, “ma siamo abituati, un po’ per inerzia, un po’ per la forza di gravità dell’egoismo, a guardare i difetti altrui: siamo specialisti, tutti, in questo. Subito troviamo i difetti degli altri. E ne parliamo. Perché sparlare degli altri sembra dolce, ci piace”. La mormorazione, il chiacchiericcio sono “l’esercizio più deleterio fra noi”, afferma ancora all’Angelus: e questo “distrugge la famiglia, distrugge la scuola, distrugge il posto di lavoro, distrugge il quartiere. Dalla lingua incominciano le guerre”. Il chiacchiericcio non finisce nel chiacchiericcio, afferma ancora nell’omelia a Labaro: “La lingua ha il potere di distruggere come una bomba atomica. È potentissima. E questo non lo dico io, lo dice l’apostolo Giacomo nella sua Lettera”.
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