Esattamente un anno fa si sono tenute le elezioni politiche che hanno sconvolto il panorama politico italiano. Si pensava che la legislatura non sarebbe riuscita a partire e invece dalla lunga crisi è uscito il governo Di Maio-Salvini. Merito certamente della spregiudicatezza dei due giovani leader, ma soprattutto della paziente difesa da parte del Presidente Mattarella del dettato costituzionale di una Repubblica parlamentare, dove cioè i governi nascono in parlamento e non nelle piazze. Ogni maggioranza è titolata a governare, salvo poi vedere se ci riesce. A un anno da quel voto, però,
la legislatura sembra stanca: molte cose sono cambiate nel Paese dal punto di vista elettorale e poche cose sono invece cambiate dal punto di vista economico e sociale, e semmai in peggio.
La Lega di Salvini sta cannibalizzando i voti confluiti nel Movimento 5 stelle adottando una politica di “legge e ordine” che è l’altra parte della medaglia del populismo; il Partito democratico pare aver consolidato uno zoccolo intorno al 18% e nelle elezioni regionali in Abruzzo e in Sardegna ha arrestato il deflusso dei suoi elettori; le primarie del Pd hanno indicato con chiarezza un nuovo segretario politico nella persona di Zingaretti che ha tutti i numeri anche per tentare di riconquistare la Capitale, da dove è partita la travolgente ascesa dei 5stelle. Solo Forza Italia sembra non essere ancora riuscita a riprendersi: Berlusconi resta aggrappato ad una prospettiva politica – il ricompattarsi di tutte le destre con il centro moderato – che ormai il capo della Lega non potrà mai perseguire sapendo che sarebbe un suicidio. Ma la presenza di Forza Italia è per l’attuale maggioranza una spina nel fianco.
La domanda politica vera è: come è stato possibile che da un vistoso cambiamento uscito dalle urne il 4 marzo 2018 si sia tirato fuori così poco, e nel merito fatto così male, dal punto di vista delle politiche di governo? La risposta è che tutto l’anno è stato dominato dall’azzardo politico e ogni iniziativa è stata vissuta come in una partita a dadi.
Azzardato è stato depotenziare il ruolo e la figura del Presidente del Consiglio; azzardato è stato sfidare l’Unione europea in materia di finanza pubblica;
azzardate sono state le mosse di netta chiusura in materia di immigrazione e di ricollocamento degli immigrati; azzardate le polemiche prima contro la Germania e il capitalismo del Nord Europa e poi contro la Francia che è giunta, per la verità esageratamente, a ritirare il proprio ambasciatore. Pare un azzardo anche il tentativo di Salvini di creare in Europa un fronte sovranista che determini lo smantellamento del governo di Bruxelles. Soprattutto, sono un azzardo i circa dieci miliardi di euro che il governo ha voluto impegnare per favorire di fatto il prepensionamento di molti statali e per il reddito di cittadinanza che non si sa bene che effetti positivi potrà avere. C’è materia per chiedersi dunque se e come potrà finire l’azzardo politico dell’attuale maggioranza. In astratto solo in due modi: se il Paese ritrova una spinta straordinaria per crescere e per semplificare contemporaneamente il quadro politico oppure con un duro ritorno alla realtà che lascerà macerie. La seconda possibilità è la più ovvia e nel Paese cresce la eco di una rassegnazione a fare di Salvini il salvatore della Patria. Ma anche qui si nasconde l’azzardo perché la forza di Salvini è anche la sua debolezza: per l’attuale maggioranza la trappola può scattare quando il famoso “contratto” dietro al quale due giovani capi hanno nascosto l’azzardo di governare insieme sarà stracciato dal contraente più debole, per rimanere al governo con un’altra maggioranza contando sulla forza degli attuali gruppi parlamentari. Certo, occorrerebbe che i 5stelle non rinunciassero a fare politica e trovassero una sponda nel Pd (molto dipenderà ancora una volta da Renzi, il quale per una volta potrebbe stupirci…) ma la cosa è meno impossibile che andare insieme con Salvini alle urne.
E se sarà Salvini a far durare l’attuale maggioranza, allora alla fine ne porterà da solo tutto il peso. Che cosa auspicarsi? Prima di tutto che non si sostituisca l’azzardo, che è sempre rischioso, con la rassegnazione, che è una medicina mortale.
La maggioranza pensante del Paese non deve cadere nel tranello di credere che solo il dominio personale di Salvini potrà rimettere le cose a posto: non è solo azzardato ma anche politicamente sbagliato. La fragilità di Salvini sta nella difficoltà di spendere il consenso che pare intercettare. Egli ha poche carte in mano, visto che la realtà gli presenterà presto il conto della stagnazione e della irresponsabilità in politica estera. Si gioca tutto in una finestra politica molto piccola: superare il 35% alle elezioni europee del 26 giugno e riuscire ad andare presto a nuove elezioni politiche e vincerle di forza. Per rientrare in uno schema europeo di gioco politico bisognerebbe invece che nelle prossime elezioni europee il rafforzamento della Lega fosse controbilanciato da una crescita delle opposizioni con al centro il Pd. Fantapolitica? Nemmeno per idea perché
lo schema bipolare che ha retto la politica italiana negli ultimi venti anni non è scomparso. È lo schema di lungo periodo che unisce le democrazie europee che si sono modellate intorno alla integrazione politica e finanziaria dell’Unione.
E’ lo schema che permette di gestire la globalizzazione e che, in momenti di transizione, consente di sperimentare ampie coalizioni intorno a programmi strategici di interesse nazionale, come avviene da anni in Germania. Anche il caso francese rientra in questa linea di tendenza: tenuto conto delle specificità di quella repubblica presidenziale, Macron sarà inevitabilmente condotto a giocare la partita delle europee con lo schema tradizionale transalpino del “rassemblement” moderato contro il neofascismo di Marine Le Pen. E i “Jilets jaunes” non aggiungeranno i loro voti alla destra estrema. Se possiamo trarre una conclusione dal ragionamento è che il problema di Salvini è il problema degli italiani: o il capo della Lega riesce a raggiungere una maggioranza tale da cambiare la storia della democrazia italiana, però con tutti i rischi del caso in un paese così fragile ed agitato, oppure perderà clamorosamente la sua partita a dadi. Gli elettori, soprattutto i giovani, hanno materia su cui informarsi e per comprendere che in politica l’unico fallo da espulsione è far durare troppo a lungo l’azzardo. Le elezioni europee ci diranno se gli italiani hanno deciso di ritornare nella realtà. Non si può giocare l’Italia ai dadi, come fecero i soldati che si contesero le vesti di Cristo ai piedi della Croce (Giovanni. 19, 23-24).