“Pio XII è una figura importante che esprime l’antico ma proietta la Chiesa verso il nuovo, un riferimento nodale per capire il ‘900. Ma non tutti i Papi devono necessariamente diventare santi, altrimenti si rischia di creare una identificazione che va a discapito di quei pochi che non saranno canonizzati”. Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, parla all’indomani dell’annuncio di Papa Francesco di aprire gli Archivi Vaticani per il pontificato di Pio XII il 2 marzo 2020.
Come ha accolto la decisione del Santo Padre?
Me l’aspettavo da anni. La circospezione con cui si aprono certi archivi vaticani non è produttiva per la storia e per la Santa Sede. La chiusura, infatti, ha favorito il senso di segretezza e rifiuto della storia che si è diffuso nell’opinione pubblica e in certi studiosi. Sappiamo che questo ritardo è dovuto alla faticosa e complessa preparazione di un materiale ingente, ma la storia contemporanea ha i suoi ritmi.
Abbiamo lavorato su Pio XII senza avere accesso agli archivi vaticani, operando su quelli personali, degli Stati e dei prelati. Tutto ciò ha portato a considerazioni storiche ormai consolidate che ora andrebbero ridiscusse.
Ma quando si sono aperti gli archivi di Pio XI, ad esempio, non c’è stata questa volontà di ridiscutere le questioni. Di fronte alla mole degli archivi, gli studiosi non sono andati a fondo. Con Pio XII forse è diverso, perché la materia è ancora calda.
Pio XII è considerato una figura controversa. Dipende forse dal fatto che non lo si conosce davvero bene?
Ogni grande figura è controversa. Pio XII è vissuto in tempi impossibili per una internazionale come la Chiesa cattolica, che era lacerata dal conflitto mondiale. Era un periodo terribile: il nazismo era arrivato a dominare Roma per nove mesi, fin sotto le finestre del Papa; il comunismo aveva distrutto come un nuovo conquistatore la Chiesa cattolica in tutto l’oriente europeo.
Ci furono alternative impossibili per la chiesa di Pio XII: con il comunismo, negoziare o condannare? Con il nazismo, denunciare o salvare quante più vite possibili?
Papa Pacelli, però, non gioca solo sulla difensiva.
Partecipa a grandi iniziative: il processo di creazione europeo a cui aderisce in maniera convinta, la fondazione della Democrazia cristiana in Italia, l’avvio di una Chiesa decolonizzata. C’è poi la questione riguardante la Cina, e sarà interessante vedere dagli archivi vaticani cosa successe con l’avvento di Mao e l’inizio della crisi dei rapporti tra il Vaticano e il governo comunista di Pechino.
Nulla da temere dalle carte contenute negli archivi?
Quello che doveva venire fuori è già venuto dagli archivi diocesani e privati. Non c’è niente da temere. Bisogna considerare, invece, che la completezza delle informazioni rende giustizia alla complessità dell’azione del Vaticano. Ne sono convinto.
Quando non si ha tutta la documentazione, siamo prigionieri della logica degli scoop.
Un documento, invece, va inquadrato in un contesto. La completezza renderà giustizia all’azione della Santa Sede e dei Papi. E alle figure di importantissimi collaboratori dei pontefici, che hanno fatto la storia della Chiesa. Penso a Montini, Roncalli, Cardini: hanno lavorato all’ombra dell’istituzione ma hanno lasciato tracce importanti. L’apertura sarà estremamente positiva e il mio auspicio è che si vada in fretta per il pontificato successivo.
Questa decisione avrà conseguenze anche per il processo di canonizzazione?
Non conosco bene lo stato del processo di Pio XII, ma ho presente la sensibilità ebraica nei confronti della sua figura. Per tanti ebrei l’atteggiamento di Pio XII risulta incomprensibile di fronte alla Shoah. Non ritengo che tutti i Papi debbano diventare santi. Come storico, mi sento di dire che Pio XII è una figura importante e inevitabile per chi vuole studiare la storia politica e religiosa tra guerra e dopoguerra. È una figura che esprime l’antico, ma che cerca di proiettare la Chiesa verso il nuovo.
Con l’apertura degli archivi potrà cambiare l’approccio del mondo ebraico?
Dagli ebrei è venuta spesso la richiesta di conoscere meglio i documenti, e quindi credo che questo porterà a una considerazione più positiva o quantomeno più storica della figura di Pio XII. Del resto, voglio ricordare il grande contributo che abbiamo avuto con la coraggiosa pubblicazione degli “Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale” su decisione di Paolo VI. Quelle carte fanno vedere un atteggiamento sfaccettato della Santa Sede. Ci sono anche delle cose che non erano proprio a favore. Penso ad alcune battute di monsignor Dell’Acqua su un padre cappuccino che si dava da fare per gli ebrei a Roma. Dopo il coraggio di Paolo VI del 1965, abbiamo aspettato tanto. E spero che questo tempo non lenisca la passione storiografica di chi vuole conoscere quel periodo e quelle figure.