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Jean-Claude Juncker alla Comece: “Faccio appello a voi uomini saggi: l’Europa ha bisogno di pazienza e determinazione”

Chiara Biagioni

“Faccio appello a voi uomini saggi. Gli uomini saggi sono pazienti e determinati e l’Europa in questo momento ha bisogno di pazienza e determinazione”. Con queste parole Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha concluso il suo intervento ai vescovi delegati delle Conferenze episcopali dell’Ue, riuniti in questi giorni a Bruxelles per la loro Assemblea. Juncker è arrivato nella sede della Comece, a Square de Meeûs, puntuale alle 9.30, mentre fuori, sulla strada, i giornalisti si accalcavano per chiedergli una dichiarazione sulle ultime notizie che arrivavano da Londra. Dopo un educato “buongiorno”, è entrato nella sala riunione della Comece al primo piano e dopo i saluti tra i presenti, ha rivolto ai vescovi un articolato discorso di 50 minuti. Un intervento a 360 gradi dove sono stati elencati i nodi presenti e le sfide future dell’Europa.

Nonostante la bufera Brexit, il vento dei populismi e la voce dei nazionalismi estremi, lo sguardo di Juncker sull’Europa è positivo: l’Unione europea – esordisce – “è sicuramente migliore di quello che si dice”. È innanzitutto “un progetto inclusivo” chiamato – come amava dire Giovanni Paolo II – a “respirare con due polmoni”. Un continente impregnato dei valori cristiani, dove “la dignità della persona umana” è “rispettata indipendentemente dalla razza e dall’orientamento sessuale”. E ai populisti dice: “L’Europa non è contro le Nazioni”, non è un progetto volto a “far sparire le singole identità in un magma europeo”, ma un luogo dove le divergenze e le diversità vengono non solo rispettate ma anche amate. Oggi l’Europa si trova di fronte ad un appuntamento cruciale per il suo futuro e, cioè, le elezioni europee che si terranno a fine maggio e che andranno a ridisegnare il Parlamento e, quindi, gli organi vitali, che andranno a influire sull’intera Unione europea per i prossimi cinque anni. Juncker ha molto apprezzato l’appello al voto che i vescovi Ue hanno rivolto il 14 febbraio.

“L’Europa – ha detto – non può essere lasciata in mano solo ai politici”.

Foto: Comece

Nel suo discorso Juncker ha parlato anche delle ferite che stanno colpendo in vari modi il continente. Ha fatto riferimento al tema della dignità del lavoro e alla povertà e rivolgendosi ai vescovi ha detto:

“La dottrina sociale è forse l’insegnamento più nobile della Chiesa”

e l’Europa deve riscoprire i valori e i suoi principi guida. Sui rifugiati, il presidente Juncker è stato realista: ha ammesso che dall’Europa è arrivata spesso e solo una “risposta di tecnocratici” e anche a questo riguardo ha detto di aver apprezzato la Dichiarazione del presidente della Comece, Jean-Claude Hollerich, sulla “responsabilità condivisa di accogliere, proteggere, promuovere e integrare” – secondo l’invito di Papa Francesco – i migranti e i rifugiati nelle nostre società. A questo proposito, Juncker ha parlato della necessità di avviare un programma-Africa perché solo agendo sullo sviluppo dei Paesi di quel continente è possibile evitare che i giovani “muoiano in mare”. Solo alla fine del suo intervento, Juncker ha accennato all’affaire Brexit. “La questione è grave”, ha detto aggiungendo che è intenzione dell’Unione europea salvaguardare “una relazione amicale” con il Regno Unito, sulla base di “una storia condivisa” e dei “valori comuni” che legano da sempre l’Inghilterra all’Ue.

“Juncker ha parlato come uomo politico ma anche come cristiano e credente”. Sono i primi commenti dei vescovi europei al discorso del presidente. “È un uomo pragmatico come lo sono i politici dei nostri Paesi”, dice al Sir mons. Jean Kockerols, vescovo ausiliare di Bruxelles e delegato della Conferenza episcopale belga alla Comece. “Ha una esperienza politica unica. E questo suo bagaglio umano e professionale è importante soprattutto in queste situazioni difficili. Nella sua parola c’è sempre una speranza, una convinzione forte per l’Europa”. Ciò che preoccupa i vescovi è che spesso l’Europa è percepita dalla gente come “una realtà lontana”. Da qui l’impegno delle Chiese locali a “far capire che la nostra appartenenza al progetto europeo non è contraria alla nostra identità nazionale o regionale. Credo che Juncker ritenga che le Chiese possano aiutare a costruire e rafforzare questa unità ideale”.

“Le Chiese hanno una parola profetica da dire sull’importanza dell’Unione, sull’ideale europeo di pace, di collaborazione”.

“Noi cristiani abbiamo una grande responsabilità e questo è il momento di ritirarla fuori”, incalza mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e vicepresidente della Comece. “Questa Europa nasce su una radice che ha anche nella tradizione cristiana il suo punto di forza e la sua anima. Questo è il momento in cui farla uscire fuori perché l’Europa rischia di perdersi, lacerarsi, dividersi. Noi che siamo eredi di questa storia, abbiamo una responsabilità”. “L’esperienza della Gran Bretagna – osserva il vescovo italiano – in un certo senso dimostra che rompere con l’Europa crea problemi enormi e grandi difficoltà. È chiaro che i processi di decomposizione possono esserci e ci preoccupano ma sono processi lenti”. Insomma, lo sguardo sull’Europa deve essere positivo. “Quello che mi ha colpito oggi nell’intervento di Juncker – dice ancora Crociata – è la nota di speranza che lo ha caratterizzato, un messaggio di fiducia nella possibilità che l’Europa ce la faccia. C’è molto lavoro dietro e dentro. Ci sono molte persone che lavorano e credono nell’Europa. Se un messaggio deve essere lanciato ai nostri cittadini è un messaggio di fiducia”:

“C’è la possibilità di fare meglio e di più per superare i limiti che l’organizzazione europea finora ha mostrato. Guardarsi dai rischi va bene ma è anche importante scommettere e potenziare le possibilità e le positività che sono largamente presenti”.

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